Dopo un lungo braccio di ferro, dunque, il Consiglio di Stato ha quindi stabilito definitivamente che quel cemento va rimosso da Punta Scifo e che la multa di 20mila euro va pagata per non avervi già provveduto.
Nello specifico le opere in questione consistono in 79 piastre in cemento per la posa dei bungalow (di cui parte risultavano ubicate al di fuori della recinzione di cantiere); in un bungalow in legno utilizzato temporaneamente a deposito materiali; in una piscina costruita da una vasca in cemento armato; in uno scavo con battuto di cemento nelle immediate vicinanze della piscina riguardante i servizi tecnologici della vasca; in un manufatto destinato a ristorante-pizzeria costituito da piastra di fondazione con pilastratura in legno e copertura in legno; e in una struttura in legno ondulato (lato mare).
Adesso l'ordine è quello di ripristinare lo stato dei luoghi ante intervento. «Sotto un primo versante - scrivono i giudici -, tutte le prospettate illegittimità dell’ordinanza numero 23/2020 derivanti dalla asserita illegittimità dell’ordinanza di demolizione numero 88/2019 vengono meno, in quanto la legittimità dell’ordinanza di demolizione è stata confermata anche nel presente grado di appello; quanto al profilo di contestazione - si legge ancora nel dispostivo - circa la mancata indicazione delle aree da acquisire al patrimonio del comune nell’ordinanza irrogativa della sanzione pecuniaria, per le ragioni evidenziate in via generale, la censura è del tutto inconferente rispetto al provvedimento impugnato, in quanto quest’ultimo non dispone l’acquisizione al patrimonio comunale delle aree, ma si limita a irrogare la sanzione pecuniaria prevista (ex art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001), per la mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione».
«In ragione di quanto si è sopra illustrato - concludono i giudici - i due ricorsi in appello proposti ed esaminati congiuntamente, previa loro riunione, debbono essere respinti, con conseguente conferma delle due sentenze di primo grado fatte oggetto di appello».
Salvatore Scalise è stato condannato inoltre a rifondere le spese del grado di giudizio, con riferimento a entrambi gli appelli, in favore del Comune di Crotone quantificate in 4mila euro (oltre oneri accessori come per legge).