L'isola
Samo, chiamata dai Turchi Sadam Adassi, è una grande isola greca dell'Egeo meridionale, distante dalla costa anatolica poco più di 2000 metri. Gli scavi archeologici e le fonti storiografiche rivelano che l'isola fu in età greca una delle regioni più floride della Ionia, nota per l'olio, il vino, i manufatti di bronzo e di lana, per gli intensi traffici commerciali con l'Oriente mediterraneo e per il valore dei suoi poeti, architetti, scultori, orefici, scalpellini. Colonizzata intorno al 1000 a.C. da Elleni continentali in gran parte di stirpe ionica, nel corso del VI sec. d.C. Samo fu dilaniata dalla rivalità tra una ricca e sprezzante classe di latifondisti, detti gheòmoroi, detentori di un oppressivo potere politico, ed un battagliero ceto di mercanti e di artigiani, che avevano accumulato cospicui patrimoni trafficando con le isole, con l'Egitto e con le satrapie più occidentali dell'impero persiano.
Il tiranno
Nel 531 a.C. esplose nell' isola una rivolta popolare antiaristocratica: la capeggiava un astuto avventuriero di origini aristocratiche, il cui nome era Policrate. Con l'aiuto di due fratelli e con il sostegno della borghesia e del proletariato isolani, Policrate si impadronì del potere e diventò tyrannos di Samo. Il suo sogno era creare un regno ricco e potente, che avrebbe dovuto comprendere la Ionia e le isole egee. Per raggiungere il suo scopo, questo abile doppiogiochista, per altro ottimo amministratore ( fu lui a volere la costruzione dell'acquedotto samio, opera mirabile dell'ingegneria greca) e colto mecenate ( la sua lussuosa corte ospitò, fra gli altri, il medico crotoniate Democede, al quale corrispose un compenso annuo di 2 talenti, cifra astronomica per quei tempi), questo abile doppiogiochista, dicevamo, si procurò somme enormi esercitando la onorevole (per quei tempi) arte della pirateria e, senza scrupolo alcuno, fece e disfece alleanze di ogni sorta. Una fortuna sfacciata gli corse dietro per molti anni, ma alla fine gli voltò le spalle: stretto tra l'incudine della progressiva avanzata del colosso persiano verso l'Asia Minore ed il martello di una rivoluzione proletaria di marinai e pescatori dell'isola, il tiranno di Samo tentò di entrare nelle grazie del satrapo Orete, il quale si fingeva ribelle al re Dario. L'astuto persiano stette al gioco, fino a che nel 522 non riuscì a catturare con un tranello e condannare alla crocifissione il tiranno corsaro e fedifrago.
I maestri
All'incirca l'anno dopo l'ascesa di Policrate al potere, un noto scienziato samio, di nome Pitagora, allora maturo quarantenne, si imbarcava ad Itea, il porto dell'isola, su una nave diretta a Corcira (oggi Corfù, nel mar Ionio) e di lì si trasferiva a Crotone, accompagnato dalla madre, dalla moglie e da un vecchio servo. Chi era Pitagora? La tradizione sulla vita e sull'opera di questo personaggio è conservata integralmente in tre biografie, scritte tutte e tre più di 800 anni dopo la sua morte; per questa ragione sono confluiti in essa frammenti di verità a colossali falsificazioni e distorsioni. Pitagora nacque a Samo nel 572. Il padre fu un bravo tagliatore di pietre preziose, sufficientemente agiato per potere pagare al figlio, ragazzo intelligente e studioso, eccellenti maestri, i migliori cervelli del tempo: il musicista e poeta Ermodame, suo concittadino, gli scienziati Talete ed Anassimandro, entrambi di Mileto, il filosofo moralista Biante di Priene e, soprattutto, Ferecide di Siro, mitografo e naturalista, un autodidatta formatosi (pare) su testi fenici, con il quale il nostro si accompagnò per sei anni, viaggiando da un'isola all'altra dell'Egeo e visitando i grandi centri commerciali dell'Asia Minore.
I viaggi
Nel 548 a.C., dopo un'ultima visita a Delo, il suo maestro ed amico morì. Pitagora riprese a viaggiare da solo, ininterrottamente per 12 anni, come rappresentante di commercio del padre. In Egitto, offrendo belle coppe cesellate, si accattivò il favore dei sacerdoti egiziani, i quali lo accolsero come uno di loro e gli aprirono i misteri della loro scienza; fu così che il giovane imparò l'egiziano, la geometria, i pesi, le misure, il calcolo con l'abaco, le qualità dei minerali. Si recò, poi, in Fenicia ed in Siria, e nel 539 a.C. lo troviamo a Babilonia, dove i sacerdoti caldei, anch'essi catturati dalla generosità dello studioso samio, gli insegnarono l'astronomia e la matematica. Tre anni dopo fu a Creta, dove prese moglie e conobbe Epimenide, una sorta di mago, purificatore ed indovino, che si arrogava il privilegio di un rapporto diretto ed esclusivo con la divinità, e si vantava di avere vissuto molte vite. Ancora un breve soggiorno a Sparta, per studiarvi le leggi ed il calendario; e nel 538 a.C., dopo 18 anni di assenza, eccolo di nuovo a Samo.
Verso Crotone
Forte delle conoscenze accumulate, Pitagora aprì nell'isola una scuola, che funzionava anche come centro di consulenza scientifica. Con i suoi concittadini, però, i rapporti furono tutt'altro che idilliaci. L'ambizione e la superiorità intellettuale del giovane scienziato non piacevano a nessuno: né ai ricchi arroganti aristocratici, i quali lo disprezzavano per le sue origini borghesi, né agli invidiosi artigiani, i quali lo ignoravano, né allo spregiudicato Policrate, il quale, divenuto il padrone dell'isola, lo snobbava e non gli affidava nemmeno uno dei progetti delle tante opere pubbliche che stavano sorgendo a Samo. L'isola natale cominciava ad andargli ormai troppo stretta: di qui la decisione di trasferirsi a Crotone, da lui conosciuta attraverso la descrizione che gli aveva fornito l'immigrato Democede, diventato suo amico.
La città di Miscello
Crotone era stata fondata verso la fine dell'VIII sec. a.C. da coloni achei guidati dall'ecista Miscello, in una località posta tra la foce del fiume Esaro ed il promontorio Lacinio, sul quale più tardi fu eretto il tempio di Era Lacinia, che fungeva da santuario, banca, agenzia di informazioni, centro di ristoro e riposo per i naviganti. Il capo formava un doppio porto, pessimo indubbiamente, ma unico ricovero per le navi che viaggiavano da Taranto a Reggio e viceversa. La città nel VI sec. era molto nota per il clima salubre, per le fertili campagne, per la bellezza delle sue donne, per i suoi eccezionali medici (magnificati, e a ragione, dal bene informato Erodoto) e per i suoi fortissimi atleti, dei quali fu simbolo il pluriolimpionico Milone. Quando Pitagora vi pose piede, Crotone era una città-Stato fra le più potenti della Magna Graecia. Il suo dominio si estendeva su tutta la fascia costiera che va da punta Alice sino al fiume Sagra (forse l'odierna fiumara del Torbido, nei pressi di Marina di Gioiosa Jonica), a nord del quale, a 15 km circa di distanza, fu dedotta la colonia di Caulonia, sembra ad opera di polìtai crotoniati; e forse provenivano da Crotone i fondatori della pòlis di Terina, situata sulla costa del mar Tirreno, a nord di Vibo Valentia. La tendenza propria di tutte le poleis magno-greche all'espansione territoriale creava tra loro tensioni e rivalità. La città di Miscello viveva, perciò, in un stato permanente di guerra non dichiarata: a nord con la potente ed opulenta polis di Sibari, a sud con la bellicosa Locri; proprio i Locresi, alcuni decenni prima dell'arrivo di Pitagora, avevano posto fine all'espansione crotoniate verso sud, sbaragliando sorprendentemente un numeroso esercito crotoniate in una epica battaglia presso il fiume Sagra. Le scarne informazioni storiografiche fanno supporre che Crotone, al pari di tutte le poleis del mondo ellenico, vivesse alla fine del VI sec. a.C. una vita politica intensa, caratterizzata da una endemica lotta di classe tra una oligarchia di arroganti proprietari, detentori di una ricchezza sfacciata, ed una massa enorme di piccoli contadini poveri e di miserabili proletari, vittime di ineguaglianze ed ingiustizie, alle quali tentavano di rimediare alcuni capi rivoluzionari chiamati spregiativamente 'demagogòi', e cioè capipopolo.
La scuola
Pitagora trovò Crotone una città vivace dal punto di vista culturale; ed a Crotone conobbe certamente Alcmeone, il massimo esponente della scuola medica crotoniate, un gigante del pensiero umano, pioniere della medicina sperimentale, che dissezionando cadaveri scoprì gli organi di senso e le vie di conduzione nervosa periferica e centrale, ed intuì il corpo umano come inscindibile sintesi bio-psichica. (Sarebbe interessante conoscere con esattezza quali rapporti intercorsero fra i due, se non altro perché il geniale medico fu un genuino, autentico democratico). L' ambiente era, dunque, ideale per l'apertura di una scuola. I figli ed i giovani parenti dei più ricchi cittadini accorsero in massa per iscriversi. Secondo Giamblico, uno dei tre biografi del samio, l'ammissione alla scuola richiedeva, però, un tirocinio molto laborioso: essa era subordinata all'esame del contenuto di un dettagliato rapporto informativo sulla famiglia, sull'educazione, sul carattere dell' aspirante allievo; alla verifica della reale volontà di istruirsi; ad una quinquennale frequentazione del Maestro, con il quale doveva essere condivisa una regola severa, fatta di rigorosi tabù o divieti sessuali ed alimentari, non tutti comprensibili: niente carne, niente vino, niente triglie o cefali, niente fave, niente matrimonio, niente sesso, niente vesti eleganti; al comunismo dei beni degli iscritti, come sostiene Timeo di Taormina, che fu uno storico serio. Dopo 8 anni di prove, come se non bastasse, l'allievo era sottoposto ad un esame severo; se ritenuto degno, egli veniva reclutato ed ammesso ad incontrare il prestigioso Maestro, a parlare con lui, a ricevere il suo insegnamento. E Pitagora insegnava ai suoi discepoli la dottrina orfica della trasmigrazione e della reincarnazione dell'anima, appresa dal cretese Epimenide; ma soprattutto insegnava cose straordinarie, che nessuno prima di lui aveva insegnato: i numeri pari e dispari, i numeri primi, i numeri irrazionali, i 5 solidi perfetti, la sfericità della terra, la teoria dei rapporti e delle proporzioni, la teoria delle medie, le grandezze incommensurabili, i princìpi geometrici e, soprattutto, la misurabilità degli oggetti e dei fenomeni della natura; e dai discepoli esigeva la massima segretezza sulle conoscenze apprese. Ecco perché Pitagora era un profeta, anzi il profeta per i suoi discepoli.
La politica
La passione scientifica e filosofica andava, poi, di pari passo con la passione politica: Pitagora ed i suoi seguaci si posero alla testa di un progetto di conquista dell'egemonia politica da parte aristocratica non solo a Crotone, ma in tutto il mondo magno-greco, tanto è vero che sette pitagoriche sorsero e conquistarono il potere in numerose città italiote. V'è da supporre che il partito pitagorico di Crotone, impadronitosi del governo cittadino, abbia avuto un ruolo decisivo nella guerra contro i Sibariti, il cui espansionismo costituiva una minaccia mortale per gli interessi dei ricchi proprietari di Crotone. L'esercito crotoniate marciò su Sibari sotto la guida dell'olimpionico Milone ed in una cruenta battaglia sul fiume Traente annientò gli opliti avversari. La lussuosa città, dopo circa due mesi di duro assedio, venne espugnata ed annientata con la deviazione del corso del fiume Crati. Era l'anno 510 a.C. Finita la guerra, si tornò ai fatti di casa. E qui le cose si complicarono per Pitagora ed i suoi compagni. Il governo aristocratico che l'uomo di Samo aveva imposto a Crotone cominciò a commettere qualche errore; o forse, a scivolare lungo la china dell'autoritarismo, della dittatura di classe. Non si spiega altrimenti la violenza sanguinosa della rivolta popolare antipitagorica del 500 a.C.. Ne fu organizzatore un tal Cilone, il quale, se dobbiamo credere a Giamblico, guidò un giorno i democratici a dare fuoco alla casa di Milone, in cui si erano riuniti i Pitagorici per discutere di problemi politici: tutti quelli che si trovavano dentro perirono tra le fiamme. Pitagora, salvatosi per miracolo, riuscì a scappare. Locri, rivale di Crotone, gli rifiutò quell'asilo che, invece, gli fu concesso da Metaponto, dove continuò a studiare e ad insegnare sino all'anno della morte, avvenuta nel 493-492 a.C.. L'incendio ciloniano, intanto, aveva innescato la reazione a catena di un generale moto insurrezionale antiaristocratico ed antipitagorico in tutti i principali centri italioti. "Il combattimento o la morte; la lotta sanguinosa o il nulla". Così probabilmente era posto il problema dai diseredati, dagli sfruttati della Magna Graecia all'alba del V sec. a. C. L'effetto, secondo Polibio, fu terribile: persecuzioni, stragi, lotte, disordini di ogni specie. I cenacoli pitagorici ed i governi aristocratici che ne erano espressione furono dovunque spazzati via.
La grandezza
Il drammatico fallimento del progetto politico pitagorico, aristocratico ed antipopolare, nulla toglie alla grandezza ed alla modernità dell'insegnamento dello scienziato samio. Pitagora è stato un titano del pensiero umano. Questo genio, utilizzando l'immenso patrimonio di conoscenze scientifiche trasmessogli dagli Egiziani e dai Babilonesi, fu il primo ad interpretare in termini di numero e misura il cosmo e quanto accade in esso, aprendo una strada in cui si collocarono Euclide, Archimede ed Apollonio, gli straordinari matematici del periodo ellenistico. Pitagora, grazie alla sua teoria dei numeri e ad un metodo scientifico corretto (suscita emozione ancora oggi, anno 1997, sapere che il maestro ed i suoi discepoli già sei secoli prima di Cristo compivano esperimenti su diversi strumenti e ne esprimevano i risultati in termini generali) offrì i presupposti per uno studio quantitativo, per una matematizzazione dei fenomeni naturali in tutti i campi della scienza. Tuttavia, l'elemento mistico del pitagorismo ebbe in seguito il sopravvento su quello scientifico. Il filosofo Platone, infatti, con la sua teoria di un mondo delle idee nettamente separato dal mondo fisico, operò una netta separazione anche tra il numero come tale ed i numeri dei Pitagorici legati agli oggetti concreti, tra i numeri puri platonici, alieni da ogni contatto con il mondo materiale, ed i numeri impuri pitagorici, inquinati per il fatto di essere strumenti di misurazioni fisiche. Venne così posta una pesante ipoteca sulla possibilità di una sintesi tra matematica e metodo sperimentale; e venne minato dalle fondamenta il pensiero pitagorico, e cioè la possibilità di descrivere la realtà che ci circonda in termini matematici. Una delle più grandi conquiste intellettuali nella storia dell'umanità si isterilì, destinata ad essere dimenticata per oltre due millenni, sino a Galilei, un altro autentico colosso del pensiero umano, che dovette lottare con tutte le forze del suo smisurato ed ironico ingegno, contro i pregiudizi ed i dogmatismi di un esercito di Simplicii, per il trionfo della geniale intuizione dell'uomo venuto da Samo, e cioè l'essere il grandissimo libro dell'universo scritto in lingua matematica, avente come caratteri triangoli, cerchi ed altre figure geometriche. Ciò che accadde al pensiero di Pitagora è la dimostrazione che il pensiero razionale e persino la concreta tecnologia non sono una conquista irreversibile degli uomini.
Polemiche
A volte con furia iconoclasta e sulla base di una documentazione un pò fragile si tende a presentare Pitagora ora come un personaggio leggendario ora come un volgare impostore. Resta un dato inconfutabile: troppo costante ed ingombrante è la presenza della figura e del pensiero dell'uomo di Samo nel mondo ellenico presocratico perché si possa negare la sua storicità; a meno di non voler immaginare che intellettuali della statura di Erodoto, Senofane, Eraclito, vissuti per altro in ambienti diversi, si fossero messi d'accordo per burlare il prossimo, inventandosi l'esistenza di un superman del sapere con l'hobby dei viaggi. A complicare le tradizioni sulla figura del grande scienziato hanno contribuito i suoi entusiasti discepoli, per un eccesso di venerazione verso il Maestro, ed una falange di antiquari tardoantichi, che nelle loro opere si sono sbizzarriti a mischiare alla rinfusa preziose informazioni con una congerie di aneddoti ed apoftegmi curiosi, fantasiosi e a volte contraddittori, di nessun valore per lo studioso serio.
Le notizie che ci parlano di Pitagora come di un donnaiolo, burlone, un po' imbroglione, sono buone o a suscitare le risa di lettori amanti delle battutine di trasmissioni tipo "Striscialanotizia" o a fare apparire il maestro di Samo una simpatica canaglia agli occhi di quanti stimano utile per la salute mentale dell'uomo un vivere moderatamente vizioso. Così come la recente pubblicazione di alcune lettere di Einstein a niente altro è servita se non a mostrarci un lato umano del padre della teoria della relatività, il quale nella vita familiare era, al pari di tanti fra noi, un despota affetto da manìe di perfezionismo. E ancora: le beffe rivolte dal sarcastico ed irriverente Senofane di Colofone contro la teoria della metempsicosi, i rimproveri mossi dall'enigmatico Eraclito di Efeso alla vana molteplicità delle conoscenze del samio, le riserve nutrite dal grandioso Aristotele verso la religione pitagorica dei numeri , sono tutti fatti che vanno inquadrati in quella robusta, umana, a volte ironica, a volte poco ossequiosa dialettica verbale cui spesso fanno ricorso le grandi personalità della storia, anche distanti tra loro nel tempo. Chi non ricorda le vigorose contumelie antihegeliane del rude ed intrattabile Schopenauer? Affermare, infine, che il celebre teorema era già noto agli antichi Egiziani, Indiani, Cinesi, Babilonesi, e che Pitagora fu un volgare plagiario, è azzardato: è noto a tutti che gli Egiziani circa 3000 anni prima di Cristo avevano già scoperto, con il "metodo della corda", e cioè per via empirica, che tre segmenti lunghi rispettivamente 3, 4, 5 unità, oppure 6, 8,10 unità, oppure 9, 12,15 unità, formano un triangolo rettangolo; è ancor più noto che gli Indiani ed i Cinesi avevano scoperto in età remote come fosse possibile costruire un angolo retto con una corda divisa in parti lunghe 5, 12, 13 o con una corda divisa in parti lunghe 8, 15,17; è arcinoto che in un documento babilonese risalente a 2000 anni a.C. un ignoto matematico del tempo scrisse che un bastone lungo 30 unità ed appoggiato ad un muro, se scivola lungo il muro di 6 unità, si allontana dalla base del muro di 18 unità. Non esiste, però, nessun documento, nessuno, che attesti che gli Indiani o i Cinesi o gli Egizi o i Babilonesi avessero enunciato il teorema di Pitagora. Pitagora, girellone curioso e di inossidabile memoria, era probabilmente venuto a conoscenza di questi casi particolari scoperti a furia di tentativi, ma fu merito suo e dei suoi discepoli avere trovato una dimostrazione generale della proprietà del triangolo rettangolo, appunto il teorema che giustamente porta il suo nome.