Il contatto tra i vivi e i morti secondo Steiner a cent'anni dal "passaggio"
Filosofo, pedagogista svizzero e fondatore dell’antroposofia: la disciplina che si basa su una serie di credenze mistiche e religiose, creando un connubio fra scienza e spiritualità

a cura di Natale G. Calabretta - Rudolf Steiner (1861-1925) fu un filosofo, pedagogista svizzero e fondatore dell’antroposofia, disciplina che si basa su una serie di credenze mistiche e religiose e che ritiene che esista una dimensione spirituale comprensibile attraverso pratiche simili alla chiaroveggenza, che Steiner definisce «osservazione animica mediante il metodo delle scienze naturali».
Infatti l’antroposofia mira ad un connubio fra scienza e spiritualità e propone di indagare gli enti spirituali attraverso il metodo scientifico; non a caso essa è nota anche come scienza dello spirito.
Steiner definisce la morte come un momento di passaggio necessario per consentire l’evoluzione dell’individuo dopo la morte fino a raggiungere una dimensione chiamata Devachan, in cui l’Io si prepara per una nuova vita, nel corso della quale l’uomo sperimenterà un’esistenza diversa in un mondo differente, che nel frattempo si è evoluto ed ha subito dei cambiamenti.
La morte è, dunque, sia un inizio che una fine, a seconda del punto di vista che si adotta per osservarla.
Il concetto di morte che emerge nel pensiero di Rudolf Steiner vede il decesso come un percorso che l’anima compie attraversando diverse fasi, non come un cambiamento drastico e radicale di condizione dell’individuo.
Questa visione della morte come cammino dell’anima presenta alcune similitudini con aspetti che si trovano nel pensiero buddhista, molto noto sia a Steiner, autore di molti saggi nei quali sono presenti diversi riferimenti al Buddhismo e all’Induismo.
Il decesso come viaggio è un concetto ricorrente anche nelle credenze di popoli con usi e costumi primitivi, come certe tribù dell’Africa nera e del sud est asiatico, che usano praticare la doppia sepoltura perché ritengono che, finché il cadavere non si è totalmente decomposto, il defunto sia ancora vincolato alla dimensione terrena, per la quale può ancora costituire un potenziale pericolo; il trapasso completo avviene quando non restano che ossa.
Per favorirlo, però, sono necessari dei riti e dei comportamenti ben precisi, che favoriscano il compimento del viaggio dell’anima e lo stesso avviene anche presso popoli di religione buddhista, come è testimoniato dal volume «Bardo Thodol. Il libro tibetano dei morti».
Ci soffermeremo sul percorso che l’anima umana intraprende dopo la morte, secondo il pensiero di Steiner, accennando ad un articolo intitolato «La vita dopo la morte: il viaggio oltre la soglia» di Maria Angela Padoa-Schioppa ed al testo steineriano «La saggezza dei Rosacroce».
Prima di procedere con la spiegazione e l’approfondimento di quanto accade durante il trapasso, è importante e doveroso illustrare quali siano le parti che compongono l’individualità umana, in modo che poi risulti più comprensibile il procedimento alle quali sono sottoposte durante la dipartita.
L’uomo è costituito da corpo fisico, corpo eterico e corpo astrale e, mentre è in vita, incarna l’insieme di tutte e tre queste parti.
Durante il sonno, quando il corpo astrale raggiunge temporaneamente il mondo spirituale superiore, rimangono soltanto il corpo fisico e quello eterico, mentre con la morte anche quest’ultimo si allontana, lasciando sulla terra soltanto il corpo fisico.
Quest’ultimo, che è l’aspetto corporeo direttamente visibile agli occhi, è ciò che l’uomo ha in comune con animali, piante e minerali.
Esso risulta permeato di forze superiori, finché l’organismo è in vita; infatti il corpo astrale e il corpo eterico sono predecessori di quello fisico, lo hanno plasmato e gli hanno dato forma.
Il corpo eterico, presente anche nei vegetali e negli animali, è infatti l’insieme di forze che permeano quello fisico e che gli danno forma e, secondo Steiner, si presenta come un’emanazione luminosa che avvolge il corpo fisico.
Quest’ultimo, quindi, esiste in quanto risultato e realizzazione dell’altro e, a sostegno di ciò, si riportano alcune righe tratte da una conferenza che Steiner tenne a Monaco il 25 maggio 1907.
«Il cuore umano non avrebbe mai potuto sorgere nella sua forma attuale, se nel corpo eterico, che permea il corpo fisico, non esistesse un cuore eterico contenente certe forze e certe correnti che edificano e costruiscono il cuore fisico».
Il corpo astrale, che l’uomo ha in comune soltanto con gli animali, è la sede delle emozioni, delle passioni, delle brame e dei desideri ed è responsabile della costituzione del corpo eterico, a sua volta basilare per quello fisico.
Infine, l’elemento che contraddistingue l’uomo rispetto a tutte le altre creature è l’Io, grazie al quale è depositario della coscienza sul piano fisico.
Tutti gli altri esseri, che solitamente sono ritenuti privi di consapevolezza, secondo Steiner, in realtà hanno una coscienza, ma non in questa dimensione: i minerali hanno la loro coscienza nel Devachan superiore, le piante nel Devachan inferiore, gli animali nel mondo astrale.
L’evoluzione dell’uomo, che avviene nel corso della storia e delle diverse reincarnazioni, consiste in una progressiva elaborazione da parte dell’io delle altre parti costitutive dell’individuo, giungendo al controllo delle brame e degli impulsi.
Ora che è stato messo in chiaro da quali parti è costituito l’individuo umano e in che cosa consistano precisamente, si può procedere con la descrizione di quanto accade all’anima umana e allo spirito dopo la morte.
Innanzitutto ci sono degli aspetti di questo percorso che sono uguali per tutti, cioè le cosiddette tappe del viaggio, la prima delle quali consiste nella separazione dal corpo fisico, seguita poi dal distacco da quello eterico e infine da quello astrale, in modo che l’io possa unirsi alla sua essenza autentica.
La qualità di questo viaggio, invece, cambia a seconda dell’esistenza terrena che è stata condotta.
Il momento iniziale, che si verifica nelle prime ore e nei primi giorni che seguono il decesso, è noto come grande quadro mnemonico.
Durante questo periodo il corpo eterico, (cioè il corpo energetico che infonde la vita) comincia a separarsi da quello fisico ma non si è ancora del tutto allontanato, quindi è bene attendere per l’inumazione.
Nel corso di questa tappa, il defunto, che tende ancora verso il sensibile e non si è distaccato totalmente dalla dimensione terrena, si ritrova di fronte a tutta la propria vita e rivive ogni ricordo soltanto oggettivamente; non elabora, quindi, le esperienze in relazione a sé stesso, comportando, quindi, l’estinzione di emozioni, passioni, gioie e dolori.
Si tratta di un fatto importante perché permette di mantenere saldo il proprio Io.
Una volta che questa esperienza si è conclusa il corpo eterico si separa da quello astrale e si disperde nell’etere universale: rimane solo un’essenza che andrà per sempre a costituire il corpo causale, che accompagnerà l’individuo non solo durante il viaggio post mortem ma anche nelle vite terrene avvenire.
Nel secondo stadio, chiamato Kamaloca (letteralmente «regione delle brame», che corrisponde al mondo animico), il corpo astrale, che in vita è sede dei desideri, comincia a staccarsi da questi.
Chi durante la vita è stato in grado di elevarsi al di sopra del corpo fisico, dei sensi e delle esigenze terrene e materiali, trascorrerà un periodo più breve nel Kamaloca.
Si tratta di una condizione nella quale l’anima e lo spirito si purificano per accedere al mondo spirituale, in maniera simile a quanto avviene nel Purgatorio cristiano.
La regione più bassa del mondo animico o Kamaloca è quella della brama ardente nella quale la forza di antipatia, cioè di respingimento è prevalente generando quindi una condizione egoistica.
Finché si trova in questa dimensione, l’anima si libera di tutte le tendenze più individualistiche e materialistiche; questo avviene attraverso un lungo e faticoso percorso durante il quale l’anima percepisce l’impossibilità di poter soddisfare tali pulsioni e soffre a causa di questo fino a quando l’individuo le vede come fonte di dolore ritenendo, quindi, necessaria la loro estinzione.
Si tratta di una condizione analoga alla noluntas schopenhaueriana che consiste nella negazione della propria volontà e nella soppressione dei desideri per eliminare il dolore che ne consegue; per Schopenhauer questo deve verificarsi durante la vita, mentre per Steiner ciò avviene soltanto dopo la morte, quando il corpo fisico viene abbandonato dall’anima e dallo spirito.
Via via che ci si avvicina al regno dello spirito, che corrisponde al Paradiso cristiano, la forza della simpatia, dopo aver raggiunto un equilibrio con quella dell’antipatia, diventa predominante su quest’ultima e gli appetiti da estinguere sono sempre meno grossolani e materiali.
In questa fase, oltre al distacco dalle brame e dai desideri, l’anima vive a ritroso, dalla morte alla nascita, tutti i sentimenti positivi e negativi procurati agli altri come se fossero trasmessi a sé.
Nella quarta delle sette regioni del Kamaloca il defunto sperimenta il suo corpo fisico come qualcosa di esterno, di altro da sé, mentre sulla Terra si identificava con esso.
Lo stesso fenomeno accade anche nelle esperienze di premorte, durante le quali i soggetti vedono il proprio cadavere e assistono ai soccorsi; la medesima cosa dicasi per il Bardo della Verità, una delle fasi del percorso dell’anima dopo la morte descritto ne «Il libro tibetano dei morti», durante la quale l’individuo si rende conto del proprio decesso, assistendo alla propria salma come soggetto esterno e ai lamenti e alle offerte delle persone care, alle quali inizialmente si sente ancora legato a causa dei vincoli residui che ancora lo legano alla vita terrena; questi, però, durante questo percorso post mortem chiamato Bardo si allenteranno sempre di più fino a scomparire del tutto.
Anche nel Kamaloca steineriano il distacco dalla propria dimensione corporea non è affatto semplice, dato che l’individuo che per tutta la vita si è identificato con il suo corpo a un certo punto deve distaccarsene e abbandonare ciò che può essere definito «sentimento di sé stesso», che si basa proprio su questa auto-immedesimazione.
Insorge quindi un periodo di smarrimento per l’anima destinato a durare fino a quando non avrà riconosciuto che il vero uomo non è nella corporeità e a non sentirla più come qualcosa di essenziale.
Come già sostenuto in precedenza, il Kamaloca è una dimensione nella quale le anime si purificano distaccandosi sempre più dai legami con la vita materiale e terrena in modo da poter accedere al mondo dello spirito, così come il Purgatorio è uno stato nel quale le anime si redimono dai peccati.
Maggiore è il numero di mancanze commesse e quanto più ingente è il loro peso, più a lungo le anime dovranno sostare in questa dimensione e, allo stesso modo, più una persona è stata pervasa da pensieri materiali in vita ed è stata vincolata alla corporeità, maggiore sarà il tempo necessario a questa anima per staccarsi da questi legami e diventare libera.
Secondo Steiner questo forte attaccamento alla fisicità è presente anche nei suicidi, per i quali il periodo da trascorrere nel Kamaloca risulterà più lungo e difficoltoso rispetto agli altri, soprattutto quello che prevede il riconoscimento della propria corporeità come un fattore estraneo.
Il motivo che Steiner individua a questo proposito consiste nel fatto che i suicidi abbandonano in modo innaturale e improvviso il loro corpo fisico non lasciando il tempo sufficiente ai sentimenti e alle pulsioni connesse con la corporeità di allentarsi, comportando, quindi, una maggior permanenza e accumulo di brame terrene e desideri inappagati e un forte sentimento di svuotamento nell’anima dovuto ad un repentino distacco dalla corporeità, che, di conseguenza, risulterà più difficile da elaborare e richiederà tempi molto più lunghi.
Il distacco totale dell’anima dal corpo e il riconoscimento della propria vera essenza nell’Io autentico, nel pensiero di Steiner, e nella Volontà in quello di Schopenhauer, è un passo fondamentale per accedere alla cosiddetta beatitudine e alla Verità primordiale.
In vita, dato che siamo costituiti sia dall’anima che dal corpo, ci identifichiamo con la nostra corporeità.
Ci guardiamo allo specchio, vediamo noi stessi in una fotografia, ci riconosciamo e diciamo: «Questo sono io!»
Lo stesso dicasi per le persone che ci stanno intorno; siamo in grado di identificarle e di distinguerle dalle altre in primo luogo a causa della loro fisicità e del loro aspetto, che sono le prime caratteristiche che siamo in grado di recepire.
Dunque la perdita della nostra corporeità costituisce per noi una grande fonte di terrore, perché è come perdere noi stessi, scomparire e annullarci per sempre, a tal punto che vorremmo conservarla in eterno, renderla immortale.
Infine la nostra parte astrale, già elaborata dall’io e totalmente priva di egoismo, si unisce al
corpo causale ed entra in una dimensione chiamata Devachan, o «mondo dello spirito», che corrisponde al Regno dei Cieli cristiano.
Quanto appartiene al corpo astrale ma non è stato elaborato muore e diventa cadavere astrale.
Una parte dell’io può dirsi elaborata quando può essere governata da quest’ultimo, che l’ha generata, diventando quindi libera, dato che non è più soggiogata alle brame terrene.
Quando una parte del corpo astrale risulta elaborata vuol dire che le sue brame sono sotto il controllo dell’io, mentre, in caso contrario, quella sezione di corpo astrale non è elaborata.
Questa elaborazione avviene sempre alla fine del Kamaloca, dopo ogni vita, fino a quando il corpo astrale diventerà completamente elaborato e apparterrà totalmente all’io autentico: allora non ci sarà più bisogno di altre vite terrene.
Il terzo stadio di questo percorso dell’anima è il Devachan al quale, come accennato in precedenza, l’io defunto accede nel momento in cui il corpo astrale si separa da quello eterico.
L’uomo prova la stranissima sensazione di essere ovunque, diffuso nello spazio del cosmo e di trovarsi al tempo stesso dappertutto e in nessun luogo.
Con l’abbandono del corpo fisico l’individuo smette di riconoscersi nella sua corporeità in quanto ne fa esperienza dall’esterno e non più dall’interno, assistendo, quindi, al proprio cadavere come a qualcosa di estraneo, quando avviene il distacco dal corpo eterico e quindi l’uomo non si identifica più con un singolo ente in un determinato spazio e in un preciso tempo.
Queste categorie vengono così superate, infatti per Steiner l’Io non viene compromesso, anzi, questo processo è necessario per la sua evoluzione, che avviene nel corso di tutta la vita, dopo che questa si è conclusa e anche nelle esistenze successive.
Steiner descrive il Devachan come uno stato di armonia, pace, equilibrio e pienezza molto simile all’Empireo raffigurato nell’opera di Hieronimus Bosch e alla «Chiara Luce» a cui si fa riferimento ne «Il libro tibetano dei morti» e che è ricorrente in tutte le esperienze di premorte.
Viene rappresentato come una controparte spirituale del nostro mondo.
Steiner ne «La saggezza dei Rosacroce» descrive il Devachan come costituito da quattro regioni in ognuna delle quali si trovano le varie specie di archetipi: una continentale, nella quale ha luogo ogni entità spirituale corrispondente a quanto esiste sulla Terra, una oceanica che corrisponde al flusso della vita, rappresentato dallo scorrere di una sostanza e che contiene gli archetipi del vivere, una regione sede di piaceri, dolori ed emozioni, che nel mondo fisico esistono solo in coloro che le provano e in quello devachanico, invece, hanno una sussistenza propria sotto forma di archetipi.
La quarta regione è quella degli archetipi di tutto ciò che è stato, è e sarà, dove si trovano, quindi, le immagini di tutto ciò che è avvenuto e anche di quanto deve ancora avvenire ed essere inventato.
Si tratta di ciò che Steiner definisce cronaca dell’Akasha, una sorta di serbatoio nel quale tutto ciò che si verifica viene conservato e in cui si trova anche ciò che ancora non c’è ancora stato. Nell’opera steineriana intitolata Teosofia, il Devachan viene presentato come costituito da sette regioni invece che da quattro: nella quinta, nella sesta e nella settima si trovano le fonti da cui gli archetipi attingono le loro forze.
Giunto in questa dimensione, il defunto vive delle esperienze che si basano su quanto ha sperimentato sulla terra: se ha nutrito sentimenti negativi questi gli si faranno innanzi e lo avvolgeranno, se invece ha elaborato sentimenti positivi, questi lo attornieranno e ne formeranno gli organi animici.
A differenza di quello che il senso comune potrebbe indurci a credere, le anime nel Devachan non conducono un’esistenza priva di attività, ma contribuiscono all’evoluzione della Terra e al divenire del mondo, proprio come i vivi mediante i loro pensieri e le loro azioni influiscono sul Devachan e sul percorso delle anime dei defunti.
Una volta che tutte le azioni verranno trasformate in forze spirituali e che le esperienze del Devachan saranno vissute in maniera completa, l’individuo sarà pronto per scendere sulla terra nuovamente.
Come l’uomo ha degli obiettivi da realizzare sulla Terra in quanto essere umano, cioè spirito incarnato in un corpo che agisce sul mondo fisico, ha degli scopi anche in quanto spirito nel «mondo spirituale».
Infatti, quando si trova in questa dimensione, l’io fa esperienza dei pensieri come esseri reali e degli archetipi o immagini spirituali delle cose vissute sulla terra e diventa testimone diretto di come si sia formato ciò che ha sperimentato in vita.
Riesce, quindi, ad accedere alla vera essenza delle cose al di là delle categorie spazio-temporali, delle singolarità e dell’involucro corporeo, ma soprattutto è super partes, cioè osserva dall’esterno: non vive più nella dimensione terrena, non ha più bisogno di formulare delle rappresentazioni della realtà che si adattino ai suoi schemi conoscitivi e al suo sistema sensoriale e non si identifica più con la propria corporeità che durante la vita terrena lo induceva a dichiarare: «questo sono io!».
Nella prima regione del Devachan l’individuo vive la sua vita una seconda volta, però dal lato spirituale: questo risulterà utile per l’evoluzione dello spirito prima della nuova incarnazione.
Il Devachan, oltre ad essere una dimensione di pace, beatitudine e di totale distacco ed esternazione dal corpo fisico, è uno stato in cui sopravvivono i legami relazionali che hanno avuto luogo sulla Terra.
I rapporti di affinità spirituale permangono anche laddove il corpo fisico non c’è più, anzi questa separazione è una liberazione.
Secondo Steiner, infatti, quello che un’anima è stata per l’altra durante la vita fisica permane anche nel mondo spirituale dopo la morte.
In seguito l’uomo accede all’unità presente alla base della vita, che durante l’esistenza fisica l’individuo è in grado di riconoscere solo parzialmente nell’armonia del mondo e nella legge divina del cosmo.
Nel Devachan, lo spirito disincarnato è in grado di cogliere l’unità di tutte le cose e di riconoscersi parte di un tutto: sarà, cioè, possibile il ricongiungimento con il tutto e l’annullamento delle singolarità e dei dualismi.
Per Steiner l’io prende consapevolezza della sua essenza e della verità delle cose e mantiene quindi la sua integrità portando al cosiddetto risveglio spirituale.
È vero che, attraverso la noluntas e rinunciando a sé stesso, l’individuo è in grado di cogliere quale sia la sua vera essenza finché è in vita, ma questa situazione secondo me è comparabile a quella in cui si trovano coloro che, secondo Steiner, sono in grado di utilizzare «l’occhio dello spirito» e la chiaroveggenza per accedere alla dimensione spirituale dopo un percorso di crescita interiore e di sviluppo del pensiero.
Il Devachan risente dell’influenza dei pensieri dell’umanità, che se sono di natura spirituale, fungono da nutrimento per le anime dei defunti e li aiutano nel loro percorso post mortem.
Le nostre idee, dunque, hanno un riscontro sull’intero piano astrale, sia che si tratti del Devachan, sia che si stia parlando di spiriti di defunti e anche nel caso si tratti del corpo astrale di viventi.
Secondo Steiner, essendo il Devachan la patria autentica dei suoni e dei colori in sé, dei quali la musica e la pittura sono dei riflessi, lo stato di benessere che proviamo osservando un’opera d’arte e ancora di più ascoltando un brano musicale che percepiamo particolarmente coinvolgente, è dovuto ad un profondo legame con la dimensione prenatale e post mortem del Devachan, della quale l’uomo conserva dei ricordi che è in grado di rivivere sulla Terra.
Non si tratta di reminiscenze a livello dell’intelletto, bensì spirituali e inconsce.
Infatti il piacere che proviamo nell’ascoltare una certa melodia è dovuta al suo accordarsi con quanto abbiamo sperimentato nella dimensione totalmente spirituale del Devachan.
Secondo Steiner, quindi, l’uomo conserva la memoria della dimensione prenatale, solo che, a differenza degli antichi, non ne è consapevole, a causa della sua sempre maggior identificazione con il corpo e la fisicità, che lo ha portato a temere la morte, in quanto dimentico dell’immortalità dell’anima.
Stando a quello che Steiner sostiene a proposito del rapporto dell’uomo con la sua dimensione spirituale nel corso dei secoli, queste reminiscenze, sono presenti solo a livello inconscio nell’uomo moderno, a meno che non si tratti di un individuo chiaroveggente che ha accesso ai mondi spirituali, a differenza delle altre persone che possono comprendere gli aspetti riguardanti questa dimensione soltanto dal punto di vista logico e razionale studiando la scienza dello spirito.
Il Devachan è in definitiva la dimensione originaria in cui si trovano le essenze di tutte le cose sotto forma di archetipi, i sentimenti e i pensieri nelle vesti di esseri spirituali e la sostanza fondamentale dell’uomo, cioè lo spirito.
Da questo mondo durante il loro periodo di permanenza, gli artisti, gli scienziati e gli inventori attingono le loro risorse che permettono di accrescere il loro genio e di far progredire il loro spirito e che poi utilizzano durante la loro esistenza successiva per contribuire all’evoluzione del mondo.
In questo stato l’individuo porta con sé le conoscenze e le abilità acquisite sulla Terra facendole maturare ulteriormente, in quanto saranno utili per la vita seguente.
Ecco che viene confermata la tesi steineriana secondo la quale quanto accade nella vita terrena è utile per quella spirituale e viceversa.
Anche se il Devachan può essere definito come condizione autentica e originaria dell’uomo e dell’universo, non può prescindere dalla dimensione fisica alla quale è vincolato da un profondo legame di scambio e reciprocità.
Infatti le azioni realizzate in vita hanno delle conseguenze nel mondo dello spirito post mortem e influiscono sul percorso spirituale dell’individuo, il quale, a sua volta, finché si trova nel Devachan, attinge a delle risorse e si prepara per una nuova incarnazione.
Il volume intitolato «Introduzione all’antroposofia» consiste in una raccolta di conferenze tenute da Steiner in particolare quella svoltasi a Bergen in Norvegia il 10 ottobre 1913; riguarda il contatto fra i vivi e i morti che Steiner riteneva non solo possibile, ma addirittura necessario, per permettere all’anima di evolversi, nutrirsi e svolgere il suo percorso.
Per Steiner l’individualità, o meglio l’io animico-spirituale sopravvive alla morte e ha ancora dei bisogni anche se molto diversi rispetto a quelli dei vivi.
Secondo Steiner le necessità dei defunti non sono affatto simili a quelle dei viventi.
Per le anime disincarnate che si trovano in una dimensione di transizione tra una vita e l’altra risulta indispensabile nutrirsi, ma non da un punto di vista fisico, bensì spirituale.
Questo è reso possibile dai vivi stessi durante il sonno grazie alle loro idee e ai pensieri maturati durante la veglia: se sono di carattere spirituale allora le anime ne trarranno giovamento, altrimenti se sono soltanto materiali, il percorso del defunto sarà ostacolato e, anche se in vita c’è stato un rapporto molto intenso, il vivente non sarà di alcun aiuto per lo spirito della persona cara, creando una lontananza incolmabile e dolorosa, in particolare per il morto.
Secondo Steiner, un altro aspetto del quale bisogna tenere conto se si desidera essere d’aiuto per le anime dei defunti consiste nell’incontrare molte persone se ci si occupa di antroposofia e di questioni spirituali.
Infatti è possibile nutrire con i propri pensieri soltanto gli spiriti di individui con i quali c’è stato un rapporto in vita.
Il termine specifico che Steiner utilizza è «lettura ai morti»; consiste nel concentrarsi a fondo su pensieri di ambito spirituale rivolgendoli al defunto e pensando anche a dei momenti trascorsi insieme quando era in vita.
Non necessariamente questo deve essere indirizzato a persone che erano dedite alla spiritualità, anzi, può essere di grande aiuto per le anime di coloro che, essendo stati materialisti su questa Terra, nella loro condizione di anime disincarnate, sentono esigenze di altro tipo.
Si può affermare, quindi, che le «lettura ai morti» rivestono il medesimo ruolo delle preghiere nella religione cattolica; si tratta di un grande aiuto che i vivi donano alle anime del Purgatorio, che ne hanno bisogno proprio per redimersi e raggiungere la beatitudine, così come i pensieri spirituali alleviano molte sofferenze e dolori agli spiriti delle persone defunte, con la differenza, però, che nel pensiero cattolico non si fa riferimento ad un vero contatto fra vivi e morti, né ad una reincarnazione e, affinché le preghiere risultino efficaci, non è necessario che siano rivolte soltanto a persone con cui ci sono state relazioni in vita.
Steiner, durante la conferenza di Bergen, a proposito della «lettura ai morti» da valore alle sue posizioni portando testimonianze per dimostrare la grande importanza che a suo avviso hanno i nostri pensieri per i defunti, in modo da rendere più chiaro in che cosa consiste questo ponte fra i vivi e i morti, fondamentale nel pensiero antroposofico.
Con questa attestazione Steiner si propone di mettere in evidenza che la «lettura ai morti» può essere efficace anche per un individuo che in vita non si è dedicato all’antroposofia o a questioni spirituali, dato che le esigenze del defunto sono diverse da quelle del vivente e nulla nega che persone che da vive non tolleravano la scienza dello spirito, in realtà, nel profondo del loro inconscio ne erano attratti.
È legittimo chiedersi come sia possibile avere la certezza che i nostri pensieri siano stati recepiti dal defunto, dunque che la lettura abbia avuto effetto.
Steiner a questa domanda risponde che la percezione di un calore che si diffonde è un importante indizio, che però non tutti sono in grado di cogliere.
Sicuramente questo compito riuscirà più facile ad un individuo chiaroveggente o particolarmente attento.
Per Steiner, in ogni caso, anche se l’anima del morto non ascolta la lettura, questa risulterà essere comunque utile, dato che permette agli individui di concentrarsi su pensieri spirituali, che poi risultano un ottimo nutrimento per gli spiriti.
Un altro metodo che Steiner suggerisce per cercare un contatto con il defunto è quello di immaginare una situazione che in vita ci ha accomunato a quella persona.
Infatti è possibile una vicinanza tra viventi e spiriti disincarnati soltanto tramite i pensieri e i sentimenti; le parole e il linguaggio non hanno alcun significato per loro se non come forme immaginative.
Il fluire di questi pensieri risulta facilitato durante il sonno, momento nel quale il contatto con il mondo dei morti risulta facilitato.
Al risveglio, l’individuo percepisce la presenza dentro di sé di ciò che a tutti è noto come ispirazione, che in realtà è l’insieme dei pensieri che i morti gli hanno donato nel corso del riposo notturno.
In realtà per Steiner i morti sono sempre presenti nella nostra vita e sono in grado di percepire sentimenti di profondo amore nei confronti dei vivi, ma anche di individuare quanto di negativo è presente in ciascuna persona, dato che riescono ad accedere ai pensieri e ai sentimenti dei vivi; in ogni caso il contatto durante lo stato di veglia resta molto più difficoltoso, o meglio, meno diretto ed evidente.
Infatti il distacco del corpo astrale da quello eterico e fisico che avviene durante il sonno, accompagnato dalla similarità fra pensieri e sentimenti, facilita questo rapporto e anche la sua presa di consapevolezza in particolare durante il sonno, la quale però svanisce dopo il risveglio.
Durante lo stato di coscienza vigile, di solito, la presenza dei defunti nella nostra vita si manifesta attraverso la trasmissione di idee che vengono percepite come provenienti dalla profondità del proprio essere, oppure tramite la partecipazione ai nostri sentimenti da parte di anime di persone decedute in giovane età, a causa della nostalgia che nutrono nei confronti di questa vita e delle persone care.
Il profondo lutto che si prova per la morte di individui morti prematuramente è dovuto al dolore che essi stessi provano a causa dell’innaturale dipartita che li ha coinvolti.
Emerge, quindi, che tra vita terrena e dimensione post mortem c’è una certa continuità, che però non significa che l’aldilà sia una copia di questo mondo regolato dalle medesime leggi.
Per Steiner la vita fisica risulta una tappa fondamentale, dato che soltanto sulla terra è possibile apprendere determinati concetti, tra cui la scienza dello spirito, che poi risultano utili ai defunti, i quali, quindi, hanno bisogno dei vivi durante il loro percorso nella dimensione tra una vita e l’altra e, nei casi in cui questi entrino in contatto con un vivente, necessitano del suo ascolto e della sua comprensione, affinché sia possibile una comunicazione.
Dunque, nella filosofia steineriana, il luogo comune, secondo il quale lo spirito disincarnato è onnisciente e si trova in una condizione superiore rispetto a quella dei vivi, non ha ragion d’essere. Dato che i defunti sono in attesa di una nuova nascita, hanno bisogno dell’aiuto e del sostegno dei viventi e di essere illuminati dalla conoscenza della scienza dello spirito, che è possibile solo sulla terra e poi può essere trasmessa ai mondi spirituali.
Gli uomini non influiscono sul mondo spirituale soltanto tramite i pensieri ma anche mediante le loro azioni.
Oltre ad avere delle conseguenze sul proprio percorso spirituale ed evolutivo post mortem e anche nelle vite successive, l’agire umano ha dei riscontri importanti anche per la struttura del Devachan, che consiste nel terzo stadio evolutivo del percorso fra morte e nuova nascita e corrisponde al Regno dei Cieli cristiano.
Questa dimensione, infatti è una controparte spirituale del mondo fisico e in essa si trovano i sentimenti e le emozioni che gli uomini provano durante la vita terrena e anche gli archetipi originari di quanto accade sulla Terra, che corrispondono a delle vere e proprie tracce lasciate dagli avvenimenti che si sono compiuti che si imprimono in una parte del Devachan chiamata cronaca dell’Akasha.
Ciò che maggiormente influenza l’assetto di tale dimensione sono i rapporti fra gli uomini; Steiner sostiene, infatti, che i legami che si sono intrattenuti in vita siano destinati a continuare anche in seguito in maniera ancora più autentica ed elevata, dato che il corpo fisico e gli istinti animali vengono eliminati e non interferiscono più in alcun modo.
I pensieri e i sentimenti che hanno caratterizzato queste relazioni contribuiscono ad attribuire un determinato aspetto e una certa configurazione al Devachan.
Dunque se sulla Terra vi sono molte relazioni fra gli uomini alimentate da sentimenti positivi di amore, amicizia e altruismo questo avrà delle conseguenze benigne per il Devachan, altrimenti, in caso contrario, sarà soggetto a decadenza e deperimento.
Non soltanto i vivi attraverso i loro pensieri e il loro agire influiscono sull’evoluzione degli spiriti disincarnati e sul Devachan, ma avviene anche l’inverso.
Steiner, infatti, sostiene che l’esistenza nella suddetta condizione non sia inattiva e priva di scopi, anzi, coloro che si trovano in tale dimensione contribuiscono allo sviluppo della Terra e del suo cambiamento; ecco come mai la realtà è in continuo divenire.
Steiner, quindi ci offre un quadro caratterizzato da un complesso intreccio di legami: i vivi sostengono i defunti attraverso i loro pensieri e questi a loro volta possono essere d’aiuto ai viventi. Gli uomini agendo sulla Terra influenzano i mondi spirituali superiori e coloro che vi si trovano agiscono, di conseguenza, sulla Terra.
Si tratta dunque di relazioni di reciprocità necessitate e non casuali, nelle quali ognuno, anche se indirettamente, è responsabile di ciò che accade.