L'arte bianca
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CROTONE Una testimonianza appassionata di impegno politico e civile contro la criminalità organizzata, e il ricordo commosso di un amico, caduto per mano della ‘ndrangheta proprio davanti ai suoi occhi. Hanno catturato i presenti, le parole pronunciate da Giuseppe Lavorato, nel corso della presentazione del suo libro “Peppe Valarioti, il primo assassinio politico compiuto dalla ‘ndrangheta” (Città del Sole Edizioni), svoltasi nella serata di venerdì 22 novembre nella sala Margherita di Crotone.

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L’iniziativa, moderata da Francesco Vignis, è stata promossa dall’associazione Sabir in collaborazione con la “Rete 26 febbraio” e la Biblioteca comunale “Armando Lucifero”, nell’ambito del “Patto locale per la lettura della città di Crotone”.

Insegnante in pensione e storico dirigente del Pci, Lavorato ha tracciato il profilo dell’amico e compagno di partito, ucciso in agguato mafioso la sera dell’11 giugno 1980, con il quale ha condiviso militanza politica e impegno nella lotta alla criminalità organizzata: «La lupara tuonò, Peppe cadde. Aveva solo 30 anni, una vita breve ma intensa, ricca di letture, di studio serio e passioni. Avrebbero potuto ucciderlo in un qualsiasi altro momento, ma scelsero quella serata in cui festeggiavamo la vittoria elettorale del Pci. Era un chiaro segnale per incutere timore» ha ricordato. Da allora, la ‘ndrangheta è cambiata: «Era la più povera delle mafie, ora è la più potente. Che non scorra sangue è un fatto positivo, ma non parlare di mafia è un fatto negativo, perché il silenzio ne fa aumentare la forza. Combattere la mafia significa conquistare democrazia» ha aggiunto.
La presidente dell’associazione Sabir e portavoce della Rete 26 febbraio, Manuelita Scigliano, ha espresso profonda gratitudine nei confronti dell’autore, «non solo per la preziosa testimonianza condivisa con il pubblico crotonese, ma anche per la sensibilità dimostrata attraverso la scelta di devolvere i proventi dei diritti d’autore del suo libro ai familiari delle vittime del naufragio di Steccato di Cutro. Questo suo gesto ci ha veramente commosso e ha contribuito a dare un senso a ciò che facciamo ogni giorno per costruire un mondo più giusto e inclusivo».

Da parte sua, Lavorato si è detto «onorato di essere stato invitato a Crotone» perché in occasione della strage del 26 febbraio 2023 «le popolazioni di Cutro e del Crotonese hanno risollevato la dignità dell’Italia, mostrando il vero volto di questa nostra terra di Calabria, che è un volto di accoglienza e di generosità. Due valori, questi, altissimi in ogni epoca e che lo sono particolarmente oggi, davanti a tutto ciò che sta accadendo nel mondo. Bisogna reagire e proprio da Cutro e Crotone viene l’esempio per farlo». Ricordando la rivolta di Rosarno nel 2010 e le proteste dei familiari delle vittime davanti al Palamilone, nei giorni seguenti al naufragio, l’autore ha ricordato la forza dimostrata dai migranti in quelle occasioni: «Dobbiamo ammetterlo: sono più coraggiosi di noi, forse perché hanno giocato la loro vita sul mare in tempesta, col pericolo di morire annegati o nel deserto. La mafia la sconfiggeremo quando stabiliremo rapporti forti con i migranti, trattandoli come nostri fratelli».
«La strage di Cutro è stato un fatto orribile, ma ancora una volta, i migranti ci hanno insegnato il valore della protesta» ha affermato direttore de Il Crotonese e componente del Coordinamento della Rete 26 febbraio, Giuseppe Pipita, aggiungendo che ormai i governi «non combattono più le mafie, ma in alcuni casi sembrano quasi agevolarle, con politiche su criminalità e immigrazione quasi vergognose».
Anche l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Crotone, Filly Pollinzi, intervenuta per un saluto istituzionale, ha rievocato i giorni che seguirono il naufragio del 26 febbraio 2023, parlando di una ferita ancora aperta, che ha segnato tutta la comunità e il mondo intero.
Il referente di Libera Crotone e componente della Rete 26 febbraio, Antonio Tata, ha sottolineato l’esigenza di continuare a parlare delle mafie, chiamando ciascuno di noi all’impegno e alla responsabilità: «Fa comodo pensare che chi ha perso la vita per mano delle mafie sia un eroe, lontano dalla normalità. Invece, le vittime sono persone assolutamente normali, che hanno rischiato la loro vita per fare fino in fondo la loro parte».