Naufragio, attesa a marzo la chiusura della seconda inchiesta: la Dda indaga
CROTONE Tanti, troppi i buchi neri, ancora, a un anno di distanza dalla strage di migranti, sui soccorsi dopo il naufragio dell'imbarcazione "Summer Love" avvenuto davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro e provocando la morte di almeno 94 persone, tra cui 35 bambini.
L'inchiesta della Procura di Crotone, guidata da Giuseppe Capoccia, va avanti. Non senza difficoltà. Anche se è già in dirittura d'arrivo. Il procuratore Capoccia, interpellato dall'Adnkronos, si trincera dietro il silenzio. «Stiamo lavorando», si limita a dire. Ieri ha partecipato, a Cutro, alla commemorazione per le vittime organizzata dalla Regione Calabria. Ma c'è un punto fermo.
Entro metà marzo, al massimo fine marzo, la Procura crotonese chiuderà l'inchiesta bis. E, secondo quanto si apprende, la conclusione delle indagini non dovrebbe essere una richiesta di archiviazione.
C'è già una prima indagine aperta dal Procuratore, con il pm Pasquale Festa, che ha portato al processo per quattro presunti scafisti. La prima sentenza è già stata emessa di recente, con la condanna a 20 anni di carcere, con il rito abbreviato, quindi con lo sconto di un terzo della pena, per un giovane turco. Gli altri tre hanno scelto il rito ordinario. Sono tutti accusati di avere guidato la barca che la notte del 26 febbraio 2023 si andò a schiantare contro una secca davanti alla spiaggia di Steccato.
L'altra inchiesta, quella che si chiuderà a marzo, è ancora in piedi, ed è molto più complicata. Perché mancano ancora tanti tasselli sui soccorsi, o sui mancati soccorsi, di quella notte. L'inchiesta vede coinvolti corpi dello Stato, dalla Guardia costiera alla Guardia di Finanza. Perché non hanno funzionato i soccorsi?
Al momento sono sei le persone indagate, tra agenti della Guardia di Finanza e della Guardia costiera. Sono accusati di naufragio colposo, rifiuto e omissione di atti d'ufficio e omicidio colposo. Ma perché, nonostante la segnalazione di Frontex, l'Agenzia europea per le frontiere, trasmessa alle autorità italiane alle 23.03 del 25 febbraio, non è stata avviata un'operazione di ricerca e soccorso in mare? E perché anche dopo il naufragio i soccorsi sono arrivati solo dopo tempo? È quello che, insieme a tante altre domande, stanno cercando di appurare i magistrati.
Intanto, un pool di legali di Torino, che rappresenta 50 famiglie tra superstiti e familiari di vittime del naufragio, è al lavoro con le proprie indagini difensive. «Uno degli aspetti da chiarire è capire quando le autorità hanno saputo della presenza della barca», dice Stefano Bertone all'Adnkronos. «E dalle ore 17 del 25 febbraio, l'aereo Frontex aveva monitorato l'imbarcazione dopo avere intercettato alcune chiamate. Quindi, cosa ha fatto Frontex in quelle ore prima della segnalazione delle 22.35 alla centrale di Varsavia? Sul fronte risarcitorio c'è tutto un sistema che non ha funzionato. Frontex si è tenuto un'informazione per diverse ore consentendo alle autorità italiane di sbagliare. Certo, questa non può essere una giustificazione».
I familiari, ieri, durante una affollata conferenza stampa, hanno annunciato di volere citare civilmente lo Stato italiano, dalla Presidenza del Consiglio a Frontex. Il pool di avvocati che sta istruendo la causa è composto dagli avvocati Marco Bona, dello studio Bona Oliva e associati, dall'avvocato Stefano Bertone, dello studio Ambrosio e Commodo e dall'avvocato Enrico Calabrese.
«Sopprimere la vita delle persone tramite omissione di soccorso è un reato e anche un illecito civile. Le famiglie hanno diritto a una indagine che faccia piena luce sugli eventi - dice Bertone -. Tra gli aspetti fondamentali è capire quando le autorità abbiano conosciuto la presenza dell'imbarcazione prima nelle acque internazionali e poi nelle acque italiane. Perché fin dal pomeriggio del 25, dalle 17,50, l'aeroplano Eagle one aveva intercettato le telefonate che partivano dal telefono satellitare. Importante è capire che non ci sono solo le responsabilità degli ultimi minuti ma c'è tutto un sistema non secondo noi non ha funzionato» perché «è doveroso l'impegno a trovare le corresponsabilità. Decideremo quindi nelle prossime settimane o mesi se ampliare i convenuti anche a Frontex».
Nei prossimi giorni, i legali si rivolgeranno ufficialmente alla Procura di Crotone, perché «non abbiamo avuto risposta dalle autorità italiane alla richiesta di informazioni», in quanto «la Guardia costiera non ha risposto alle nostre domande». «Andremo presto in Procura, a Crotone, per chiedere ulteriori indagini e risposte che finora non ci sono state fornite dalla Guardia costiera, per esempio il punto nave in cui si trovava la motovedetta», aggiunge Bertone all'Adnkronos, annunciando che il team di legali «sta definendo la memoria da presentare».
Intanto le udienze del processo con rito ordinario per i tre presunti scafisti vanno avanti. Nell'ultima udienza ha parlato Ivan Paone, un pescatore intervenuto subito sul luogo della tragedia. «Abbiamo tirato fuori dall'acqua persone vive e tanti morti, tutti quelli che potevamo, ma eravamo soli su quella spiaggia, al buio, tra le urla. I soccorsi sono arrivati almeno mezz'ora dopo, anche se alle 4.30, quando ho chiamato, la Guardia costiera sapeva già», ha detto.
Agli atti c'è un video girato dal giovane pescatore. Gli inquirenti hanno ricostruito, passo dopo passo, quello che è successo in quelle ore. Qualcuno parla di "tempesta perfetta", a partire dalla imbarcazione fatiscente, che si è spezzata sulla secca di Steccato di Cutro.
La Procura ha anche sequestrato i telefoni cellulari degli indagati, per scoprire cosa si sono detti in quella nottata convulsa. Interessante anche un'altra deposizione, come quella del vicebrigadiere dei carabinieri Gianrocco Chievoli. «Nessuno ci aveva avvertito che stava per arrivare una barca di migranti», ha detto. Chievoli insieme ai suoi uomini è arrivato sul posto almeno 40 minuti dopo il naufragio. I colleghi sono arrivati anche più tardi».
Dalle 23.37 alle 3.48 non si è registrato alcuno scambio di informazioni tra la Gdf e la Guardia costiera. Perché? Le domande sono tante. E molte, troppe ancora senza risposte. E poi c'è il ruolo di Frontex.
Lo schianto sulla secca avviene tra le 4.15 e le 4.30. Solo 81 si salvano. Almeno sei i corpi mai ritrovati, tra qui quello del piccolo Mohamed, di 5 anni, morto con due sorelle e la mamma. Il padre, Wahid, è rimasto solo con un figlio di 14 anni. Oggi vivono nel campo profughi di Amburgo.
Anche la Dda di Catanzaro sta indagando, in particolare sulla rete di trafficanti che, in Turchia e in altri Paesi, ha organizzato il viaggio per l'Italia. L'unico punto fermo, seppure solo in primo grado, è la condanna a 20 anni di carcere di Gun Ufuk, 29enne turco l'unico dei 4 presunti scafisti e unico a chiedere il rito abbreviato, ritenuto colpevole di favoreggiamento d'immigrazione clandestina, naufragio colposo, morte come conseguenza di altro delitto. Per il suo avvocato, Salvatore Falcone, è stato «un capro espiatorio di chi doveva intervenire», perché «se in quel momento ci fosse stata una qualsiasi unità di soccorso, non ci sarebbero stati tutti quei morti».
Gli altri presunti scafisti, Sami Fuat, 50enne turco; i pakistani Khalid Arslan, 25anni, e Ishaq Hassnan, 22, hanno invece scelto il rito ordinario. Sono tanti, troppi gli interrogativi, su quella notte. L'evento venne gestito, intanto, non come Sar, cioè Search and rescue, soccorso e salvataggio, da affidare ai mezzi della Guardia costiera adatti a operare in "condizioni meteo-marine avverse", ma come law enforcement, cioè attività di contrasto all'immigrazione clandestina, affidata alle vedette della Guardia di finanza che poi, alle 3.48, rientrarono in porto per il mare grosso. E, intanto, i superstiti continuano a chiedere, da Crotone, "verità e giustizia".