L'arte bianca
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MILANO «Grazie al santo padre, in lui vedo l'uomo di Dio». Si è svolta, oggi, in Duomo a Milano la celebrazione eucaristica durante la quale ha ricevuto l'ordinazione episcopale monsignor Alberto Torriani, scelto lo scorso 11 dicembre da papa Francesco come arcivescovo della diocesi di Crotone-Santa Severina, in cui il presule farà il suo ingresso ufficiale il prossimo 30 marzo.

A presiedere la celebrazione è stato l'arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, affiancato dai vescovi con-consacranti Michele Di Tolve, vescovo ausiliare di Roma e rettore del Pontificio seminario romano maggiore, e Paolo Martinelli, vicario apostolico dell'Arabia meridionale, già vescovo ausiliare a Milano. Sull'altare anche altri venti presuli, dieci dei quali provenienti dalla varie diocesi della Calabria. Delpini ha così definito la missione del vescovo: «Colui che riconosce Gesù e aiuta i fratelli e le sorelle a riconoscerlo». 

Prima della benedizione finale, Torriani ha letto un commosso messaggio di ringraziamento. «Grazie al Santo Padre, soprattutto in questi giorni di apprensione per la sua salute: in lui vedo l'uomo di Dio e nei suoi gesti la conseguenza della sua appartenenza a Dio. Ci basta questo per essere bravi preti, bravi vescovio semplicemente uomini e donne capaci di desiderio».

Il discorso di monsignor Torriani

Ora tocca me prendere la parola, stavolta da Vescovo, in questa Chiesa che mi ha visto, prima essere consacrato sacerdote e poi in tanti altri momenti di questi anni in cui ho condiviso la preghiera o presieduto l’Eucarestia. Vi chiedo ancora l’esercizio artistico della pazienza e dell’ascolto per dire a voce ciò che finora abbiamo fatto insieme nella liturgia, cioè pronunciare le parole del grazie, farne appunto Eucarestia. 

Grazie a chi questa celebrazione l’ha resa possibile, organizzandola e animandola perché fosse veramente un’occasione in cui ciascuno di noi ha potuto fare esperienza del Mistero del Dio di Gesù che si fa pane e comunità. 

Raccolgo e condivido alcuni pensieri del grazie rileggendo le parole che sono riportate nel libretto o sono l’intestazione della seconda facciata dell’immaginetta che avete tra mano. Pensieri e suggestioni che mi sono care da tempo, e che ora ‘traffico’ come lo scriba del Vangelo che trae dal suo tesoro cose antiche e cose nuove. Lì è scritto…

"Desideriamo per lui che realizzi nella sua vita ciò che noi stessi vorremmo trovare in lui: innanzitutto ciò che il sacerdote ci può donare, il Cristo della Messa e dei Sacramenti; e, se pensiamo per prima cosa a questo, è perché ciò è molto più del sacerdote stesso, fosse pure un santo o un genio.

‘Desideriamo’ è verbo plurale, non singolare. E’ indicativo di coniugazione della vita, perché non c’è vita senza desiderio. Mi è cara una pagina di un libro in cui si fa riferimento alla notte di San Lorenzo e alla sua leggenda di essere notte privilegiata di stelle cadenti. La leggenda narra che ogni volta che una stella cade dal cielo s’avvera un desiderio e che la caduta di una stella lasci una traccia brevissima, quasi istantanea in cielo. E perché si possa approfittare di quell’istante è indispensabile che si tenga sempre pronto un desiderio nel cuore. Ma non è soltanto nella notte di San Lorenzo che cadono le stelle dal cielo: tutta la Vita, appunto, è una notte di san Lorenzo. Ovvero ci sono occasioni proprie per i desideri che a volte non riconosciamo neppure perché assomigliano a delle stelle cadenti. Perché si possa davvero cogliere quelle occasioni è indispensabile però che si viva ininterrottamente animati da un desiderio o da molti desideri… viceversa il rischio è che le stelle cadano inutilmente dal cielo, ovvero che le opportunità della vita scorrono via in un attimo senza che si faccia in tempo a riconoscerle e a fermarle1

‘Ardens ad sidera’ è il motto del Collegio: è invito a ‘desiderare’ occasioni per riconoscere le stelle che cadono.

Grazie innanzitutto - allora- alla Vita (quella maiuscola), che per dirla con i cinque sensi, mi ha incantato con le sue parole e le sue forme, con suoi suoni, le sue luci e i suoi sapori. Grazie a chi mi ha insegnato che ‘desiderare’ è la forma propria dell’umano in cui è impressa la sua sete di infinito che è forza, motore di libertà, creatività, impegno e dedizione. Quando si rinuncia ad ascoltare la chiamata del proprio desiderio, lì la vita si ammala.2

In Collegio so che si è parlato di Cesare, del suo diario di guerra e di come lui descriva l’accampamento dei soldati sopravvissuti a fine battaglia che, benché stanchi e spossati, aspettano nella notte i compagni non ancora tornati. Egli chiama coloro che attendono gli amici sotto le stelle: «desiderantes»3, i desideranti. Mi hanno insegnato che i desideri più profondi hanno a che fare sempre anche le altre persone, ciò che possiamo essere e fare loro e per il mondo, come i desideranti di Cesare. 

Qui non esistono santi o geni ma solo uomini e donne che hanno saputo raccontarmi la Vita così come l’ ha pensata il Padre che è nei cieli. 

Così continua il testo augurale sul libretto…

Poi, ciò che desideriamo è che, prima di essere questo o quello, egli sia di Gesù Cristo; che sia il vivente richiamo di ciò che, nel più profondo di ogni battezzato, è di Dio; che sia "l'uomo di Dio" e tutto il resto in lui sia come una conseguenza della sua appartenenza a Dio. Poi, ancora, che egli parli a Dio e che parli di Dio.

Grazie a chi ha, e sta, condividendo con me questa appartenenza a Dio. Non solo per chi di questa appartenenza ne ha fatto una consacrazione (dai vescovi che mi sono stati maestri e pastori - cfr. riferimento del motto - fino a quelli che mi sono, da oggi confratelli nell’episcopato, a Milano in Lombardia ma anche in Calabria, in tutta Italia fino alle regioni del Medio Oriente). 

Grazie a chi ha condiviso con me e condividerà il ministero di pastore (penso agli amici preti e ai compagni di Messa e ai sacerdoti della mia diocesi di Crotone – Santa Severina che hanno voluto essere qui oggi anche a nome dei tanti che non son potuti essere presenti. Con loro grazie anche alle tante consorelle e confratelli religiose e religiosi conosciuti nella comunione dei carismi. 

Insieme a loro c’è anche chi questa appartenenza a Dio l’ha vissuta e la sta vivendo nella responsabilità alla propria vocazione specifica non solo di consacrazione ma anche come genitori e adulti, e che, il più delle volte a loro insaputa, mi hanno parlato e ancora in questi giorni mi stanno parlando di Dio... e so che di me hanno parlato a Dio. Sono tanti, una vera folla… vero centuplo moltiplicatore di Vangelo! 

Da costoro ho imparato a riconoscere la Parola incarnata in linguaggi semplici e normali, in stili fraterni, in generosità concrete e operose, e in professionalità intelligenti, che mostrano ciò che nel profondo di ogni battezzato è appunto di Dio: l’umano redento.

Grazie alla Chiesa, a quella Ambrosiana e a quella di Crotone-Santa Severina che mi accoglie come vescovo. Grazie al Santo Padre, soprattutto in questi giorni di apprensione per la sua salute: in lui vedo l’uomo di Dio e nei suoi gesti la conseguenza della sua appartenenza a Dio. Ci basta questo per essere bravi preti, bravi vescovi… o semplicemente uomini e donne capaci di desiderio. 

Ancora…

E, poiché tutto ciò che noi vorremmo trovare nel prete non rimane, non sta, in qualche misura, al di fuori di noi, quasi al margine degli uomini, desideriamo che egli sia un uomo, rimasto uomo, che gli uomini possano toccarlo, ascoltarlo, capirlo e che ‘si sentano da lui conosciuti’ tanto in ciò che essi conoscono di sé, quanto in ciò che di sé ignorano.

Grazie a tutti coloro - credenti e non credenti, cercatori di Dio o generosi indifferenti – che con la loro amicizia, le loro confidenze, la loro caparbia intelligenza, non hanno mai smesso di restituirmi la verità del mio essere uomo, di misurare le mie miserie e di accogliere anche le mie povertà. Mi hanno toccato (eccola mano dello stemma) con le loro storie confidate e i loro peccati confessati, con le loro morti e le loro resurrezioni, con i loro affanni e i loro slanci, i loro progetti di futuro e le loro mete mancate. 

Mi hanno ascoltato e capito: anche da loro mi sono sentito conosciuto, e questo è ciò che basta per vivere e sperare. Lo sono stato da prete ed ora vorrei esserlo per tanti da vescovo. Ecco perché ho scelto questa espressione come mio motto episcopale. Sono convinto che sentirsi conosciuti nella propria umanità è garanzia di incontrare il Figlio di Dio e ciò - come scrivevo ad alcuni negli auguri dello scorso Natale - rende ogni istante un’opportunità di incontro con l’Eterno.

Lascio qui i miei grazie alle autorità civili e militari, alle forze di Polizia di Stato, quella Locale di Milano e i Carabinieri che sono presenti oggi. Sono il segno di anni di lavoro condiviso e di reciproca stima e collaborazione. Con loro ci sono anche i dirigenti degli uffici scolastici regionali e territoriali: gli anni di lavoro insieme ci hanno permesso di costruire anche amicizie personali e condivisioni di progettualità per il mondo della scuola e più in generale dell’educazione. So e vedo presenti i sindaci di quei paesi i cuoi cuori sono il rimando nello mio stemma: il sindaco e vice-sindaco di Novate Milanese con alcuni Assessori, il Sindaco di Monza e il Sindaco di Milano rappresentato da un suo assessore; il Sindaco di Crotone… e so che altri hanno desiderato essere qui ma trattenuti da impegni istituzionali (come per esempio il Sindaco di S. Severina e il Presidente della Provincia). Con alcuni di loro condivido un’amicizia, con altri la reciproca stima; con tutti la medesima passione per il vivere insieme e il bene comune. 

E poi…

Desideriamo per lui che creda alla gioia, il che non si riduce a dare prova di ottimismo. Ci sembra che la gioia cristiana, quella che il Signore chiama "la mia gioia", quella che egli vuole che sia "piena", consista nel credere concretamente - per fede - che noi sempre e dovunque abbiamo tutto ciò che è necessario per essere felici. Così sia".

Un posto particolare lo riservo ai tanti bambini, ragazzi e giovani che hanno abitato, a volte anche abusivamente, gli spazi e giorni dei mei venticinque anni da prete. C’è voluto un altro Giubileo della Chiesa Universale, perché potessi rilanciare quella gioia del 10 giungo 2000 che si è rinnovata di giorno in giorno e che oggi qui trova nuovi motivi e nuovi significati. 

Grazie…a tutti voi bimbi, ai voi ragazzi/e, a voi giovani e a voi famiglie e colleghi conosciuti nelle stagioni dei primi entusiasmi del ministero fino a quelle della maturità. Dagli amici di Novate, poi a Monza e a Gorla Minore, poi a Milano al Collegio San Carlo e in Parrocchia al Rosario. In questi ‘luoghi’ del cuore ho imparato a condividere la gioia, quella vera, quella che non sbiadisce, quella che è segno di un incontro con Chi della vita ha la pretesa di esserne il senso e il compimento di ogni desiderio. 

L’abbiamo cercato insieme, l’abbiamo accolto nelle nostre vite, l’abbiamo raccontato a chi ci era vicino; e, non senza fatica, anche a chi è rimasto lontano. Il tempo su questo continuerà ad essere maestro. Grazie a chi è qui giunto da Crotone, da Santa Severina e dai luoghi della mia diocesi. La vostra presenza qui è già presagio di cammini comuni e relazioni fraterne, pur dentro le differenti responsabilità e ministeri. 

Lascio per ultimo il mio grazie a mio papà Carlo, che già sperimenta la ‘gioia piena del cielo’ (insieme al mio amico Giuseppe e con loro anche i piccoli: Antonio e poi Alessandro, Cloe e Ludovica, angeli nella sezione staccata del Collegio che c’è in Paradiso, come amava definirla don Aldo). 

Grazie a mia mamma Lucia, che questa gioia sta imparando a farla sua e a comprenderla fino in fondo. Con lei anche mio fratello Andrea e ai miei famigliari e parenti, già in cielo o sparsi in giro per il mondo come puntini su di una carta geografica, ora che anche io sarò uno di quei puntini sparsi su mappe o più modernamente indirizzo di destinazione su navigatori. 

  • 1 G.Angelini, Le ragioni della scelta, ed. Qiqajon
  • 2 M.Recalcati, La forza del Desiderio, ed. Qiqajon 
  • 3 A.D’Avenia, Ultimo Banco, da Corriere della Sera.
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