L'arte bianca
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CROTONE Ha lanciato un forte richiamo al «confronto ad armi pari» e la «chiarezza d'intenti» nel giorno d'insediamento del nuovo procuratore di Crotone, Giovanni Guarascio, con un velato richiamo al dibattito, tutto italiano, sulla separazione delle carriere per i magistrati. Con il presidente della Camera penale di Crotone, Romualdo Truncè, abbiamo cercato di approfondire tutte queste tematiche in una intervista.

Avvocato, apriamo la discussione anche a chi di Diritto e di processi ne sa poco: quali sono le regole del “gioco”?

«Chiariamo, innanzitutto, che nel sistema giudiziario italiano attuale, il pubblico ministero ha il compito di rappresentare l'accusa pubblica e di perseguire i reati, mentre il giudice ha il compito di giudicare, applicando la legge ai fatti contestati. Dall’entrata in vigore del “nuovo” codice di procedura penale (in verità risalente alla fine degli anni 80) è stato introdotto il processo di tipo accusatorio, che ha come obiettivo quello di rendere accusa e difesa due antagonisti che nel processo dovrebbero giocare ad armi pari davanti ad un Giudice terzo ed autonomo nel giudizio. Poiché, però, il magistrato che rappresenta l’accusa fa capo allo stesso organismo cui fa capo anche il magistrato giudicante (il Consiglio superiore della magistratura) questa condivisione ha portato nel tempo a critiche sulla potenziale influenza reciproca e sulla effettiva imparzialità del giudice».

E qui si incespica, inevitabilmente, sul disegno di legge riguardante la separazione delle carriere, attualmente al vaglio del Senato: qual è la sua opinione al riguardo?

«La separazione delle carriere mira a scindere nettamente le funzioni di indagine e giudizio, attualmente strettamente intrecciate. Oggi, il pubblico ministero, figura chiave nell'indagine, e il giudice, custode dell'imparzialità, fanno identici percorsi di carriera e dipendono dallo stesso organo di autogoverno, il Csm. Il fenomeno del correntismo interno al Csm ha dimostrato un rischio di contaminazione reciproca, con tangibili pericoli di influenze tra organi inquirenti e giudicanti, giacché entrambi condividono esperienze, aspirazioni, e, talvolta, anche amicizie che nascono proprio in seno alle correnti politiche interne alla magistratura e al Consiglio».

Perché il sistema attuale spinge a questa sorta di “promiscuità” nella carriera dei magistrati?

Se pubblico ministero e giudice fanno lo stesso concorso, hanno la stessa formazione post concorso, e seguono lo stesso percorso, per poi optare per la carriera inquirente/requirente o giudicante, è di tutta evidenza che i legami umani creatisi possano contaminare l’indipendenza di giudizio quando, specie nei piccoli Tribunali, il magistrato requirente si troverà a dover “convincere” il magistrato giudicante della bontà della sua tesi accusatoria

C'è chi solleva dubbi costituzionali sulla separazione delle carriere... sarebbe invece compatibile con il dettato italiano? Oppure occorrerebbero delle modifiche costituzionali?

«Il 16 gennaio 2025 la Camera dei Deputati ha approvato il testo della proposta di legge di riforma costituzionale in tema di separazione delle carriere. È stata proposta la modifica, tra gli altri, dell’articoli 104 della Costituzione, lasciando sostanzialmente invariato il principio di autonomia e di indipendenza, ma introducendo il principio di separazione della magistratura requirente da quella giudicante. Sono state previste, altresì, modifiche agli articoli che disciplinano la composizione e l’elezione del Csm. Il principio di autonomia e indipendenza della magistratura resta dunque invariato nella nuova previsione di riforma costituzionale, e continua ad avere una protezione nella nostra Magna Carta. D’altronde si tratta di principi di antica derivazione, che sono cardini ispiratori anche delle democrazie che sperimentano da tempo la separazione delle carriere dei magistrati. Non vi è alcuna necessità di modificare la nostra Carta fondamentale, ma solo di adattarla alle nuove esigenze organizzative di una magistratura separata, non internamente, ma strutturalmente». 

Con la creazione di due organi di autogoverno distinti, come prevede la riforma in atto, il principio di indipendenza verrà rafforzato, perché i due Consigli non entreranno mai in contatto; anche il principio di autonomia verrà preservato, perché ciascun magistrato, sia esso giudicante o requirente, potrà contare su un organo di rappresentanza specificamente dedicato alle proprie esigenze e istanze, senza interferenze da parte dell'altra categoria. Questo garantirà una maggiore tutela dei rispettivi ruoli e una più efficace difesa dell'autonomia e dell'indipendenza di ciascuno

Entriamo nel merito della la separazione delle carriere: come si concilierebbe questa con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale?

«A prima vista, potrebbe sembrare che l'obbligatorietà dell'azione penale e la separazione delle carriere siano in contraddizione. Tuttavia, è possibile conciliare questi due principi attraverso una corretta interpretazione e applicazione delle norme. Pur essendo obbligato a esercitare l'azione penale, il pubblico ministero ha comunque un margine di discrezionalità nell'individuare le priorità e nel valutare la fondatezza delle accuse. Questa discrezionalità può essere esercitata nel rispetto dei principi di legalità, opportunità e proporzionalità. Il giudice può sempre intervenire per correggere eventuali errori o abusi del pubblico ministero, ad esempio attraverso l'archiviazione del procedimento o l'annullamento di un provvedimento. La separazione delle carriere non incide sul principio del contraddittorio, che garantisce il diritto di difesa e la possibilità per l'imputato di confrontarsi con le accuse».

Gli ordinamenti stranieri potrebbero essere presi come riferimento?

«Il modello inglese è uno dei più noti. La separazione tra giudici e pubblici ministeri è netta e radicata da secoli. I pubblici ministeri sono avvocati specializzati che dipendono dal Crown Prosecution Service, un'agenzia governativa indipendente. Anche negli Stati Uniti la separazione delle carriere è molto marcata. I pubblici ministeri, a livello federale e statale, hanno un ruolo attivo nell'indagine e nel perseguimento dei reati, mentre i giudici hanno un ruolo più passivo, limitandosi ad applicare la legge ai fatti contestati. Nell’Europa continentale, la codificazione delle leggi (in cui il precedente non ha così rilevanza come nei sistemi anglosassoni) il pubblico ministero è un magistrato dello Stato, ma la sua funzione è distinta da quella del giudice. Ad esempio, in Francia, il Conseil supérieur de la magistrature, è diviso in due sezioni, una per i giudici e una per i pubblici ministeri. Anche in Germanica il modello tedesco prevede una netta separazione tra le funzioni di accusa e giudizio. I pubblici ministeri sono organizzati in uffici autonomi e dipendono dal ministro della Giustizia».

Può approfondire meglio gli appelli lanciati nel suo discorso durante l'insediamento del nuovo procuratore capo Guarascio a Crotone?

«Il giorno del suo insediamento il dottor Guarascio ha riferito, con riguardo al rapporto con il Foro, che si potrà lavorare bene se c’è chiarezza d’intenti. Noi avvocati condividiamo pienamente questa visione. Chiarezza d'intenti significa lealtà reciproca, trasparenza, rispetto dei ruoli e delle competenze. Quando parliamo di confronto ad armi pari, intendiamo che tutti i soggetti coinvolti nel processo penale devono avere la possibilità di far valere le proprie ragioni in modo equilibrato, senza preclusioni o discriminazioni. Questo non significa negare il ruolo e le responsabilità della Procura, ma nemmeno accettare che i diritti della difesa siano compressi o sacrificati. Siamo convinti che, con queste premesse, sia possibile instaurare un dialogo aperto e costruttivo con il nuovo procuratore».

Quali sono le sue considerazioni sull'avvicendamento dei magistrati in Calabria?

«Per quanto riguarda la Calabria, è innegabile che il territorio presenti delle specificità. Tuttavia, non credo che la situazione sia più “calda” rispetto ad altre regioni. L'insediamento di nuovi procuratori, come Salvatore Curcio a Catanzaro e altri nei capoluoghi calabresi, è un normale avvicendamento. Sia Curcio che Guarascio sono figure che conoscono bene il territorio crotonese, avendo lavorato entrambi alla Dda con specifica applicazione in questa zona. Li abbiamo visti lavorare in udienza con grande preparazione, una competenza che sapranno mettere a frutto anche nella gestione degli uffici che andranno a presiedere, ciascuno per le proprie competenze funzionali. Mi aspetto che il loro lavoro si svolga con un apporto di nuove idee e strategie, in un periodo di profondo cambiamento nel modo di lavorare, con l’introduzione del processo telematico che fatica a decollare, e su cui si potrà fare molto, con la collaborazione di tutti gli organismi coinvolti, compreso, com’è ovvio, l’avvocatura».

La Camera penale di Crotone ha già posto il problema del sovraffollamento carcerario. Qual è la situazione attuale?

«La casa circondariale di Crotone attualmente ospita 125 detenuti, nonostante la sua capienza massima sia di soli 99 posti. Questo dato, aggiornato al 17 dicembre scorso, mette in evidenza un problema di sovraffollamento, comune a molte strutture penitenziarie in Italia. Ma la circondariale di Crotone ha avuto anche periodi di sovraffollamento peggiori. Questo comporta una serie di problemi, tra cui la difficoltà di garantire spazi minimi vitali, l'aumento dello stress e della tensione tra i detenuti, la carenza (in un’ottica di proporzionalità), di personale e risorse, con la conseguenza che in carcere ci si ammala e si muore sempre di più, anche per mano propria, come dimostra il crescente aumento dei suicidi, una tragedia per la quale ci stiamo battendo alacremente nell’ultimo anno. Perché la verità è che dei diritti dei detenuti non importa niente a nessuno, non è un tema acchiappavoti, né un argomento da talk show televisivi».