La nave ''Open arms'' lascia il porto di Crotone dopo 20 giorni di fermo amministrativo
La nave era partita lo scorso 17 gennaio da Salerno per la missione 108, aveva soccorso in mare 57 persone tra cui tra cui 5 minori e un bimbo di otto anni che viaggiava con lo zio. La Open Arms ha lasciato il porto di Crotone dopo 20 giorni di fermo amministrativo.
Durante le operazioni di soccorso, tutte coordinate dalla Guardia costiera italiana, l’equipaggio del rimorchiatore era venuto a conoscenza di una quarta imbarcazione in pericolo a poche miglia di distanza. Su indicazioni delle autorità competenti, una lancia veloce era stata inviata verso la posizione indicata per effettuare una prima valutazione della situazione. Una volta giunta in zona, l’equipaggio della Rhib aveva constatato la presenza di una motovedetta libica, già impegnata a recuperare le persone a bordo dell’imbarcazione in distress. Informata la nave madre, la lancia aveva immediatamente invertito la rotta, tornando verso la Open Arms. Una volta giunti nel porto di Crotone, porto sicuro assegnato dalle autorità, il comandante era stato chiamato in questura per riferire come persona informata sui fatti. Al termine di un lungo interrogatorio durato fino a notte tarda, gli era stato notificato poi il fermo di venti giorni della nave e una possibile multa dai 3 ai 10 mila euro per aver “intralciato le operazioni di soccorso della guardia costiera libica”, come si legge nel verbale consegnato al Comandante stesso.
"In alcun modo la nostra lancia ha potuto intralciare le operazioni della cosiddetta guardia costiera libica, essendosi limitata a constatare la presenza della motovedetta lasciando immediatamente l’area di interesse - scrive la Ong in una nota -. Insistiamo su una questione per noi molto importante: la Libia non può essere in alcun modo considerata un luogo sicuro, come ribadito più volte dalle più importanti Organizzazioni internazionali e dalle Nazioni unite che in quei territori lavorano. La vita delle persone vulnerabili che proprio da lì fuggono è costantemente messa in pericolo e le violenze a cui vengono sottoposte nei centri di detenzione presenti sul territorio, rappresentano una gravissima violazione dei diritti umani che le democrazie europee dovrebbero condannare con forza".
"Più di 100.000 persone sono state rimpatriate con la forza in Libia dopo essere state intercettate nel Mediterraneo centrale, subendo gravi violazioni dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie, torture e sparizioni forzate da parte delle autorità libiche - afferma Oscar Camps, fondatore della Ong - E' inaccettabile che queste persone, che hanno già sofferto così tanto, siano sottoposte a ulteriori violenze e abusi in luoghi di detenzione sconosciuti. Ciò non solo viola i principi fondamentali del diritto internazionale e dei diritti umani, ma dimostra anche una chiara mancanza di rispetto per la dignità e la vita degli esseri umani".
"Inoltre, la legislazione interna libica consente ai migranti irregolari di essere puniti con la detenzione e il lavoro forzato, il che costituisce una chiara violazione dei loro diritti fondamentali. È preoccupante che ingenti somme di denaro, come i 100 milioni di euro stanziati con la firma dell'accordo Italia-Libia del 2017, vengano utilizzati per fermare i flussi migratori e rafforzare la cosiddetta guardia costiera libica, nonostante le gravi accuse di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani che sono state portate avanti dagli organismi internazionali. E' chiaro che il traffico di esseri umani in Libia è stato gestito con la complicità di alcune istituzioni del paese, il che è inaccettabile”, aggiunge Camps.
Durante la Missione 108 inoltre - segnala la Ong - "abbiamo registrato episodi che destano preoccupazione e di cui abbiamo immediatamente informato le autorità competenti. Al termine dei soccorsi, sulle tre imbarcazioni, 5 persone hanno rifiutato di salire a bordo della nostra nave, decidendo di allontanarsi autonomamente senza tuttavia essere fermate dalla cosiddetta guardia costiera libica, pur presente in zona. Il fatto che alcune persone si siano rifiutate di essere soccorse, suggerisce che i trafficanti di esseri umani stiano usando nuove tattiche per sfruttare migranti e rifugiati vulnerabili. Come osservatori di quanto sta accadendo nel Mediterraneo, abbiamo immediatamente segnalato questi eventi alle autorità italiane, consegnando un report dettagliato e agendo in totale e completa trasparenza".
"Si tratta di un fenomeno nuovo, a cui assistiamo per la prima volta in tanti anni di operatività in mare. Non siamo in grado di dire a cosa sia dovuto, né sappiamo chi fossero le persone a bordo che hanno rifiutato il soccorso, per noi la priorità rimane il soccorso tempestivo delle donne, dei bambini, degli uomini che ogni giorno rischiano la vita in mare, questa è e resterà la nostra sola missione, consapevoli del fatto che le navi umanitarie rappresentano oggi l’unico presidio in mare capace di garantire la vita e di documentare ciò che accade nel Mediterraneo", conclude la nota.