L'arte bianca
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CROTONE Da clan "satellite" ad autonomo ed egemone nel momento in cui la cosca "madre" si indebolisce a causa del pentimento del boss: è questa l'emancipazione del sodalizio di 'ndrangheta rappresentato dalla "famiglia" Martino che la Dda di Catanzaro ha svelato nell'operazione "Sahel" eseguita questa mattina dai carabinieri con l'applicazione di 31 misure cautelari (NOMI).

Natale al Centro Comune di Crotone
Natale al Centro Comune di Crotone

Un blitz che ha portato alla luce l'operatività nell'area di Cutro (Crotone) di un clan, guidato dal presunto boss detenuto Vito Martino (54 anni), che si è imposto a suon di estorsioni e di narcotraffico per colmare il "vuoto di potere" determinato dalla caduta della storica cosca Grande Aracri per la collaborazione con la giustizia del capostipite Nicolino Grande Aracri, collaborazione poi interrotta dagli inquirenti per l'inattendibilità dello stesso boss.
Il clan Martino che si apprestava dunque a prendere le redini approfittando del ruolo sempre più ridimensionato con il boss Nicolino Grande Aracri ormai detenuto da tempo con condanne all'ergastolo passate in giudicato. Un clan familiare che fa capo a Vito Martino, anche lui tra i destinatari dell'ordinanza di custodia in carcere eseguita oggi, già fedelissimo del boss Nicolino Grande Aracri e suo braccio armato, che dal carcere impartiva disposizioni ai suoi congiunti.
A cominciare dai figli Francesco e Salvatore, già arrestati nello scorso mese di febbraio per estorsioni a imprenditori locali e oggi colpiti da nuove misure detentive, e dalla moglie Veneranda Verni (54 anni), che su ordine del marito avrebbe gestito in prima persona le estorsioni e i proventi del traffico di droga, per finire con Salvatore Peta e Giuliano Muto. «Se si pente il capo scriviamo un altro libro» aveva detto la moglie del boss Veneranda Verni nell'accogliere la notizia del pentimento (poi fallito) del capo cosca di Cutro Nicolino Grande Aracri. Sullo sfondo anche lo scontro con la famiglia contrapposta dei Ciampà, discendente dal clan Dragone un tempo egemone a Cutro.
A delineare questo contesto criminale, in una conferenza stampa nella Procura di Catanzaro, il procuratore facente funzioni di Catanzaro, Vincenzo Capomolla, e i vertici dell'Arma dei carabinieri di Crotone, guidati dal comandante provinciale Raffaele Giovinazzo, che hanno tratteggiato le dinamiche criminali e il "salto di qualità" del gruppo 'ndranghetista dei Martino, pronto, anche grazie alla "autorizzazione" delle principali cosche del Crotonese, a partire dal "locale" Megna di Papanice di Crotone, a riattivare e "rigenerare" le fila del clan egemone su Cutro: al vertice della nuova consorteria il presunto boss Vito Martino, capace di riorganizzare anche dal carcere i propri sodali anche grazie alla leadership della moglie, «in un ruolo che andava ben al di là di quello del semplice portaordini», hanno spiegato gli investigatori nell'incontro con i giornalisti.
Le attività criminali con cui la famiglia Martino aveva ripreso a fare pressione sul territorio di Cutro, registrate nell'arco temporale degli anni dal 2020 al 2022, andavano dalle estorsioni - almeno sei quelle registrate tra Cutro e Crotone, è stato detto in conferenza stampa - al traffico di droga, con canali di approvvigionamento attivati anche fuori dai confini della provincia pitagorica, come la Puglia, ma soprattutto nella città di Catanzaro, grazie al supporto della organizzazione di etnia rom.
«Un dato quest'ultimo - ha specificato Capomolla - già emerso in altre indagini: purtroppo l'aspetto più preoccupante è il fatto che questa organizzazione di etnia rom si avvaleva di minori per la cessione dello stupefacente. La "rigenerazione" dello storico clan passava poi anche dai rapporti con le altre cosche dell'area, compresa la cosca storicamente rivale dei Grande Aracri-Martino, quella dei Dragone, con la quale - ha spiegato Capomolla - si sono registrati tentativi di riappacificazione ma anche cointeressenze nelle attività criminali».
Il "core business" - hanno rimarcato gli inquirenti - era costituito soprattutto dalle estorsioni, «strumento privilegiato per controllare il territorio, esercitato grazie alla forza di intimidazione del clan, suggellata dallo spessore criminale del capostipite»: una forza di intimidazione potente al punto che - hanno aggiunto gli investigatori - «non ci sono state denunce da parte delle vittime, anche se oggi il vento è cambiato come è emerso da operazioni successive che hanno visto diversi imprenditori denunciare e da alcuni segnali come uno storico convegno contro la ndrangheta nel paese di Cutro».
Nella fase in cui i Martino prendono potere «emerge il ruolo delle donne», ha spiegato il colonnello Giovinazzo. L'indagata, infatti, «non riportava solo i messaggi del consorte ma dirimeva controversie e impartiva ordini. L'indagine - ha aggiunto - ha permesso di registrare le reazioni dei sodali alla notizia del pentimento di Grande Aracri: stupore, sgomento. Infine le strutture di comando e militari della cosca si sono mosse per colmare il vuoto e si sono strette intorno alla figura di Vito Martino». È stata così riavviata l'attività criminale della consorteria tesa ad accumulare fondi per la bacinella comune attraverso estorsioni - in tutti i settori dell'attività economica del crotonese «dall'edilizia alla produzione di olio» - e al traffico di stupefacenti che, ha spiegato il maggiore Pezzebon, ha portato la cosca - «alla ricerca costante di fondi» - a entrare in contatto col ramo criminale della comunità rom di Catanzaro. Sono stati registrati - ha detto il comandante del reparto operativo Angelo Maria Pisciotta - sette episodi estorsivi che contano sei estorsioni portate a termine attraverso dazioni di denaro da parte delle vittime. Un altro dato che si registra è «la mancanza di denunce da parte delle vittime, al massimo qualche confidenza strappata. La nascente cosca Martino godeva già di una forza intimidatrice intrinseca», ha concluso Pisciotta.