L'arte bianca
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ROMA «Giuseppe non è una vittima della mafia perché quel giorno non è intervenuta la Dia e non si sa perché non sia stata chiamata. C'era un video che non è venuto fuori, perché? Tre anni di calvario per avere questa sentenza». Katia Villirillo è una donna che da venti anni si occupa di legalità, di prevenzione e con l'associazioneLibere Donne ha aiutato tantissime donne calabresi ad uscire da famiglie di ndrangheta, da anni di vessazioni e violenze. 

L'esecuzione di Giuseppe nel 2018, a soli 18 anni

Suo figlio più grande, Giuseppe Parretta, è stato ucciso il 13 gennaio 2018, a 18 anni, proprio nella sede dell'associazione, in una sorta di esecuzione, davanti a lei: ha fatto da scudo ai suoi fratelli più piccoli. L'assassino, il pluripregiudicato Salvatore Gerace, è stato condannato all'ergastolo in terzo grado. Un calvario, il processo, e soprattutto nessun riconoscimento pubblico per Giuseppe come vittima di mafia, mentre il risarcimento civile si annuncia quasi impossibile: il malavitoso non possederebbe nulla.

«NO alla violenza delle istituzioni»

Mamma Villirillo lancia un appello contro la violenza delle Istituzioni. «Mi possono aiutare coloro che lavorano per la legalità, Don Ciotti che è l'emblema della legalità e che conosco personalmente. Ho pestato i piedi a tante famiglie mafiose ed è giusto per i miei figli che hanno assistito all'assassinio. Io destinerò la mia parte per un centro per i giovani di Crotone, non terrò per me i soldi di mio figlio».

La sede dell'associazione “Libere donne Kr” in via Ducarne nel centro storico di Crotone

La sede dell'associazione: prima intitolata al figlio, poi occupata

La morte di Giuseppe Parretta del resto è stata legata a doppio filo all'azione della mamma Katia. Nel 2014 c'era stato un atto intimidatorio all'associazione, ricorda la mamma coraggio, come riportò la stampa. 

Le promesse dei politici non sono state mantenute, ha ricordato Villirillo sulla famosa questione della sede dell'associazione 

«Non c'era una promessa - ha chiarito - ma un atto pubblico registrato e pubblicato sui media. Quella di mio figlio è una memoria violata tante volte. Quando ho avuto l'ictus qualcuno ha pensato che non avrei chiesto più quella sede, ma dopo ho chiesto le chiavi e ho visto che era occupata e ancora oggi c'è lì la targa di mio figlio». 

Nuove sedi? «A loro dire ne ho viste tante e rifiutate - rivela Villirillo -, io ne avrei scelta una per dare subito ai giovani un'opportunità per aggregarsi. Il mio appello è al presidente della Regione Occhiuto, di fare luce su questa storia». La Calabria secondo la testimonianza di chi conosce sulla propria pelle il peso della malavita organizzata non sta meglio». 

I giovani calabresi stanno malissimo, si sentono abbandonati ma hanno un sentimento di riscatto. Stanno malissimo anche le donne e le famiglie. Seguo casi gravissimi

«In Calabria non abbiamo strutture con professionisti - denuncia Villirillo - e non c'è bisogno solo di professionalità, ma del cuore. Io non sono più brava, ma questo amore per la vita degli altri ce l'ho perché sono stata vittima di violenza». E poi la giustizia, ottenuta sì, ma dopo anni di calvario, lo stesso che vivono tante vittime e le mamme coraggio, segnala Villirillo. «Io mi sono ammalata nelle aule di tribunale: ho vissuto un calvario: il carnefice mi offendeva, violava la mia dignità e lo Stato avrebbe dovuto aiutare ad esempio i miei figli presenti all'assassinio. Non si è visto nessuno». (DIRE)


 

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